Melanoma non diagnosticato. Chirurgo finisce sotto processo

Medico in aula: un paziente sarebbe morto di tumore a 33 anni anche in seguito ai suoi mancati approfondimenti diagnostici

SAN PIETRO IN GU. Medico in aula: un paziente sarebbe morto di tumore a 33 anni anche in seguito ai suoi mancati approfondimenti diagnostici, che la procura ritiene fossero doverosi. Prima di lasciare Vicenza, infatti, il pubblico ministero Alessandro Severi aveva chiesto il rinvio a giudizio del dottor Stefano Bisazza, 46 anni, residente a Mason, ipotizzando a suo carico l’omicidio colposo. Ieri mattina, davanti al giudice Roberto Venditti e al pubblico ministero Luigi Salvadori, si è tenuta l’udienza preliminare, che è stata aggiornata di qualche mese perché la famiglia della vittima ha chiesto l’intervento dei responsabili civili.

Il processo. Il medico, stimato specialista di Chirurgia plastica all’ospedale San Bortolo, è difeso dagli avvocati Mario Leone e Giovanni Manfredini e contesta con forza le accuse. Ieri si sono però costituiti parte civile i fratelli del deceduto Nicola Zocca, di San Pietro in Gu, morto il 5 luglio 2011. Andrea e Marco Zocca, tutelati dall’avvocato Marco Vianello, chiedono un risarcimento dei danni che ritengono di aver subito in seguito al comportamento del medico ed hanno citato anche l’ospedale cittadino e la clinica privata Marostica Salus.

La ricostruzione. Nicola Zocca si preoccupò fra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 quando, vicino a un orecchio, comparve una macchia sulla pelle, che crebbe di dimensioni. «Una neoformazione di recente insorgenza pruriginosa e sanguinante», la definì un dermatologo. Nicola si recò infatti dal dottor Rosin e quindi si fece firmare un’impegnativa dalla dottoressa Ferrarin, medico di base, per una visita specialistica e un esame istologico. Stando alla ricostruzione della procura, l’8 gennaio del 2009 Nicola fu visitato dal dottor Bisazza al San Bortolo. Ma l’imputato avrebbe omesso «ogni approfondimento clinico-strumentale (come consigliato dalla buona prassi specialistica)», recita il capo di imputazione. Anzi, ha argomentato la famiglia del giovane, il chirurgo avrebbe tranquillizzato Nicola, che doveva partire per un viaggio di lavoro: «Non è nulla di particolare, ci vediamo fra tre mesi».

Il dramma. Il 7 aprile successivo Zocca tornò dal dottor Bisazza, questa volta nella clinica privata di Marostica. Qui il medico avrebbe eseguito «una semplice diatermocoagulazione anzichè candidare il paziente ad exeresi chirurgica». E nel frattempo quello che era un melanoma maligno si allargò. Per il pm, con la sua condotta omissiva, il medico avrebbe «provocato un ritardo diagnostico di circa 5 mesi». Quando Nicola scoprì il tumore, questo era già in metastasi.

L’accusa. La procura nei mesi scorsi aveva chiesto e ottenuto un incidente probatorio. Il perito del giudice aveva ritenuto che il tempo trascorso abbia privato Zocca di una «significativa probabilità di sopravvivenza e di una possibilità di guarigione, determinate dalla mancata adozione di una tempestiva e adeguata terapia medico-chirurgica-oncologica». Il giovane morì dopo molte sofferenze nel 2011, quando ormai il tumore si era diffuso in tutto il corpo, nonostante si fosse sottoposto a trattamenti, visite ed esami in Italia e anche all’estero.

La difesa. «Non c’è alcun collegamento fra il decesso del povero paziente e l’operato del dottor Bisazza». È stato questo uno dei passaggi più significativi, per la difesa, della consulenza di parte compiuta in parallelo alla perizia del giudice, nei mesi scorsi. Il chirurgo plastico, tutelato dagli avvocati Manfredini e Leone, sostiene di aver agito con scrupolo e correttezza. L’intervento compiuto a Marostica nell’aprile di sei anni fa, secondo al difesa, era quello corretto da compiere in quelle condizioni; e non ci sarebbero stati i presupposti per procedere con un esame istologico. La formazione cutanea non poteva far pensare in alcuna maniera ad un melanoma che si stava sviluppando, hanno ritenuto i consulenti di parte. (d.n.)

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