Mele della Bassa padovana, l’allarme Cia sui costi: «La raccolta è lavoro in perdita»
BASSA PADOVANA. I produttori di mele della Bassa Padovana stanno lavorando in perdita. L’allarme, nelle settimane nelle quale quali la raccolta è entrata nel vivo, è lanciato da Cia Padova. L’associazione agricola evidenzia come ormai i costi per i produttori, tra trattamenti, potature, concimi e raccolta stessa, siano quasi pari ai guadagni. A conti fatti, circa 25 centesimi il chilogrammo, con i margini di profitto inesistenti. Una situazione che stride con quanto invece si trova sugli scaffali dei supermercati dove le mele si trovano a non meno di 2,5 euro il chilogrammo.
«Lungo la filiera si registrano delle speculazioni difficili da intercettare» sottolinea il presidente di Cia, Luca Trivellato «i prezzi finali stanno risentendo di un’inflazione galoppante, a svantaggio dei consumatori e dei consumi. Mentre agli agricoltori viene riconosciuto sempre meno. I loro margini di guadagno sono oramai risicatissimi. Anzi, come nel caso significativo del comparto delle mele, i produttori stanno lavorando con la prospettiva di non realizzare nulla».
Nel Padovano, soprattutto nella Bassa, la produzione di questo frutto interessa una superficie di 388 ettari, per un fatturato complessivo annuo di circa 5 milioni di euro. Cia Padova precisa che nel 2022, in particolare, non c’è un prezzo garantito per i produttori di mele.
«Vengono invitati» continua Trivellato «a conferire le loro primizie. Il problema è che talvolta non sanno nemmeno quanto saranno pagati. In pratica, non hanno potere contrattuale. Ci sono poi imprenditori che non riescono più a piazzare le mele come una volta, che rischiano così di finire in purea, buona solo per le agroindustrie, e pagata, se va bene, 20 centesimi il chilogrammo. Quanto sta accadendo è un segnale del dramma che sta investendo l’intero settore. Motivo per cui chiediamo alle Istituzioni un intervento finalizzato allo stop a qualsiasi tipo di speculazione sulle nostre tipicità. L’aumento dei prezzi dell’energia non può giustificare un incremento sproporzionato del prezzo finale del prodotto, cui alla lunga potrebbe addirittura conseguire una rinuncia delle stesse eccellenze da parte dei consumatori che già stanno tagliando la spesa per l’ortofrutta».
In questo quadro complicato le Istituzioni sono chiamate a fare rispettare quanto previsto dal D.lgs.198/2021 sulle pratiche commerciali sleali: «All’art. 5 viene espressamente vietata l’imposizione di condizioni contrattuali gravose per il venditore» dice il presidente «compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari a prezzi al di sotto dei costi di produzione».––
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