Melegatti, dove i lavoratori vegliano sul “lievito madre”

Tre dipendenti a turno fanno la guardia al cuore produttivo dello stabilimento Perché anche dalla vita dell’impasto dipende quella dell’azienda veronese in crisi

VERONA. Quando nel 1894 il veronese Domenico Melegatti inventò il pandoro usò un ingrediente che anche oggi è decisivo per cucinare il dolce natalizio: il lievito madre. A 123 anni di distanza tre operai della storica azienda si turnano giorno e notte, senza percepire un euro, per tenere in vita la pasta madre e così anche la possibilità di mettere in forno le colombe pasquali. L’alternativa è il fallimento.

La crisi si era manifestata già alla fine dello scorso settembre, quando i fornitori avevano smesso di mandare le materie prime a causa dei guai finanziari, debiti soprattutto, della Melegatti. Un paradosso se si pensa che, a febbraio, era stato inaugurato lo stabilimento (costato 10 milioni) di San Martino Buon Albergo, alle porte del casello di Verona Est, che si aggiungeva a quello storico di San Giovanni Lupatoto.

L’ansia aveva colto tutti, a iniziare dai 70 dipendenti fissi e i 200 stagionali: la campagna natalizia doveva iniziare già ad agosto ma agli inizi di ottobre tutto era ancora fermo e sull’azienda pesavano circa 30 milioni di debiti su 70 milioni di ricavi. Anziché trovare una soluzione le due famiglie proprietarie, i Turco, soci di minoranza e quelli di maggioranza, la famiglia Ronca-Perazzoli, hanno preferito la strada dello scontro. La guerra ha così portato alla richiesta del concordato preventivo: la procedura giudiziaria attraverso cui si possono congelare i debiti e riprendere l’attività presentando garanzie di risanamento. Vengono così nominati i commissari Bruno Piazzola e Lorenzo Miollo con il compito di autorizzare le spese e gestire la normale amministrazione. Una luce però arriva grazie all’interessamento del fondo maltese Open Capital di Abalone Asset manager, compartecipato al 30% anche dalla Dal Colle, e dalla società di gestione risparmio italiana Advam in qualità di possibili finanziatori. All’incontro in prefettura con i sindacati Giambruno Castelletti, il commercialista esperto di crisi nominato dalla proprietà, promette sei milioni per avviare la produzione natalizia e dieci per quella pasquale. Il 21 novembre riaprono gli stabilimenti e, grazie a una campagna a tamburo battente sui social, che fa leva sull’affetto dei consumatori per il marchio, la Melegatti riempie i supermercati di pandori.

Dopo il successo ci si aspettava che nei primi giorni di gennaio partisse la produzione pasquale, ma fino a oggi le porte degli stabilimenti sono rimaste sigillate, con i lavoratori in sciopero. Ieri Daniele Mirandola per Uila Uil, Paola Salvi per la Flai Cgil e Maurizio Tolotto di Fai Cisl, hanno firmato la cassa integrazione.

In una nota diffusa giovedì, il fondo Abalone ha dichiarato di essere ancora disponibile a finanziare l’azienda veronese a condizione della firma di un accordo quadro da parte dell’ad Emanuela Perazzoli, di Gigliola Ronca e Domenico Turco, i rappresentanti delle famiglie in guerra. Accordo che garantisca al fondo maltese di diventare socio di maggioranza dell’impresa dolciaria. Il tribunale di Verona ha emesso martedì un provvedimento in cui fissa un’udienza per il 23 febbraio in ordine del mancato assolvimento di «obblighi informativi» da parte della Melegatti sullo stato patrimoniale e sulle spese della campagna pasquale. I sindacati esprimono grande preoccupazione e amarezza «per le bugie che sono state dette»: «Dei 6 milioni promessi, ne sono stati versati dal fondo solo 1,275». L’appuntamento ora è per il tavolo convocato dall’assessore Elena Donazzan per l’8 febbraio: soci, fondo e sindacati dovranno giocare a carte scoperte.


 

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