«Melodie veneziane È la mia collezione di gemme preziose»

Alla Fenice serata per il basso baritono Lorenzo Regazzo che recupera e diffonde un patrimonio poco conosciuto
Di Mirko Schipilliti

VENEZIA. «I gondolieri gridano di nuovo tra loro e le luci si riflettono da lontano nell’acqua: uno suona la chitarra e canta. Che notte meravigliosa», scriveva Mendelssohn nel 1830. Come lui, Goethe e Wagner furono rapiti dalle antiche melodie popolari veneziane, una tradizione su cui il basso-baritono veneziano Lorenzo Regazzo ha voluto riaccendere i riflettori, nel concerto di ieri alla Fenice, omaggio resogli da “Lo spirito della musica di Venezia”.

Fra i massimi interpreti internazionali del ‘700 e del primo ‘800, in Regazzo vive la passione per il teatro dalla canzone veneziana all’opera.

«La mia formazione musicale è iniziato diplomandomi in pianoforte poi ho studiato composizione e mi sono diplomato in musica corale e direzione di coro al conservatorio di Venezia. Intanto avevo iniziato a studiare canto e mi sono diplomato in canto didattico al conservatorio di Mantova. Con la vittoria al concorso Toti Dal Monte nel 1991 mi sono perfezionato col grande baritono Sesto Bruscantini, modello soprattutto su come il cantante debba essere attore».

Come si conciliano le canzoni veneziane d’autore con la sua passione per il teatro musicale?

«Mi piace difendere questo repertorio di vere gemme. Le canto e incido per diffondere cultura e tradizione della mia città, le mie radici. Hanno l’aspetto di minimo spettacolo esemplificato, ma veneziano e dialettale. Si pensa solitamente solo alla “Regata veneziana” composta da Rossini, ma il dialetto veneziano ha un mare di tradizione musicale. Antonio Buzzolla era stato addirittura soprannominato “Il piccolo Schubert della laguna”, famosissimo all’epoca di Rossini con più di 80 canzoni. Persino il francese Hahn conosceva la melodia di Venezia più dei veneziani stessi. Venezia non è solo Vivaldi e il barocco; dovrebbe riappropriarsi di questo repertorio, che talvolta si rifaceva all’antica canzone da battello».

Che lei ha anche eseguito e registrato.

«Uscirà un disco per Stradivarius».

Bellini e Donizetti furono affascinati dalla canzone popolare, napoletana però.

«Sì, ma a differenza dell’impeto, dell’amore tormentato, dell’afflato e dei toni accorati della canzone napoletana, quella veneziana è intimista, raccolta, va superinterpretata, gesticolata, il testo lo richiede. È un canto pudico e allusivo. Si basa sempre su uno svolgimento d’azione votato all’ironia e all’erotismo. La stessa barcarola veneziana è un simbolo, vieni in gondola per approdare a qualcosa di erotico. Non va proposta in modo inamidato, ma rivitalizzata dal punto di vista teatrale: se non ti accorgi che è una piccola operetta regna la monotonia».

Come integra la sua vena teatrale con le richieste dei registi quando si va in scena?

«La recitazione è molto importante, è il personaggio che conquista il pubblico. Mnon puoi fare l’anarchico imponendo il tuo cliché. Devi essere veicolo di emozioni per il pubblico, ma il mio principio è anche l’essere cantante al servizio della regia. A volte ci si trova con registi blasonati che non hanno idee chiare, e inizia una compensazione per uno spettacolo che non avrà successo. Piuttosto, mi stimolano certe visioni stravaganti. Ma anche se facciamo “Così fan tutte” su Marte o “Traviata” in un transatlantico è lo sviluppo che conta. Cosa succede dopo? Ci vuole coerenza».

La ritroveremo regista nella Cenerentola di Rossini della prossima stagione al teatro Comunale di Treviso.

«Sono molto grato al Teatro Comunale che mi ha offerto questa opportunità inseguita da anni. La mia passione vera, il mio talento vero è soprattutto quello di dirigere attori, di essere creativo per spronare altri attori. Sarà anche il mio debutto in Italia in Don Magnifico».

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