«Finanziamenti fittizi con truffa»: patteggia l’avvocato Michelon

Tre anni e 10 mesi al legale di Padova Claudio Michelon con la confisca di beni per un milione e 900 mila euro. E va in detenzione domiciliare. Quattro coimputati patteggiano, altri 4 a processo

Cristina Genesin
Palazzo Stazione 6, sede dello studio dell'avv. Michelon
Palazzo Stazione 6, sede dello studio dell'avv. Michelon

I rischi erano troppi. E troppo alta la posta in gioco, visto che, in caso di condanna, la possibilità di una sanzione pesantissima era dietro l’angolo.

E così l’avvocato padovano Claudio Michelon, 71enne già titolare di un avviato studio legale civilistico in piazzale Stazione, deve aver fatto qualche conto. E ha scelto di patteggiare tre anni e dieci mesi di carcere, l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena e il pagamento delle spese oltre a una confisca per equivalente di un milione e 900 mila euro.

La vicenda giudiziaria 

Che, tradotto, significa: lo Stato procederà all’esproprio di beni nella disponibilità dell’imputato fino al valore indicato di un milione e 900 mila euro, somma corrispondente al profitto realizzato grazie ai reati per cui è stato condannato.

La cosiddetta “pena concordata” è stata pronunciata con sentenza dal gup Elena Lazzarin dopo il via libera del pubblico ministero Roberto D’Angelo, che aveva coordinato l’inchiesta su un’associazione per delinquere transnazionale specializzata in riciclaggio, autoriciclaggio e truffe per finanziamenti fittizi, tra i 100 e i 200 milioni di euro, di cui sarebbe stato incassata una percentuale dall’organizzazione.

Inchiesta che aveva spedito dietro le sbarre l’avvocato Michelon, ora da qualche giorno in detenzione domiciliare nell’abitazione di un fratello, nel passato finito sotto procedimento disciplinare da parte del Consiglio di disciplina degli avvocati del Veneto in seguito all’esposto di un ex cliente che contestava un comportamento truffaldino simile a quelli contestati.

I coimputati 

Anche altri quattro coimputati hanno scelto la via del patteggiamento che prevede lo sconto di un terzo della pena. Si tratta di Rosario Rocco Tulino, 64enne di Montefalcone di Val Fortore nel Beneventano (2 anni e 9 mesi oltre a una confisca per equivalente di 790 mila euro), uno dei vertici della banda; il faccendiere fiorentino Marco Russo, 54enne, domiciliato a Milano, di fatto residente in Spagna, incaricato di predisporre la documentazione per le pratiche dei prestiti (un anno e un mese); Elisabetta Pagnin, 57enne di Abano Terme, moglie di uno dei principali indagati (Roberto Di Bisceglie), addetta al riciclaggio dei soldi proventi dalle supposte truffe (due anni) e, infine, Sara Marcato, 38enne di Saonara, figlia della Pagnin (un anno e dieci mesi).

Rispedita al mittente, invece, la richiesta di patteggiamento proposta da altri quattro imputati di fronte al “no” (vincolante) del pm D’Angelo che l’ha valutata troppo bassa. Pertanto il gup ha spedito a processo il cosiddetto cervello della banda, Roberto Matteo Massimo Di Bisceglie, 61enne foggiano con residenza in Estonia anche se domiciliato ad Abano; il nigeriano Francis Onabire, 62enne residente a Bergamo, accusato di selezionare gli imprenditori-vittime; i sospetti prestanome Edoardo Bottoni, 64enne di Mirano (Venezia) e Giuseppe Grippaldi, 59 anni di Catania.

L’udienza 

La prima udienza del processo è stata fissata per il prossimo 10 febbraio davanti al tribunale di Padova. Archiviata l’accusa di riciclaggio nei confronti di Caterina Ortolani, 84enne di Padova moglie dell’avvocato Michelon.

Grazie a una serie di società estere, il gruppo intercettava imprenditori a caccia di finanziamenti per consistenti investimenti ma senza accesso al sistema creditizio nazionale.

In occasione di cene in ristoranti di lusso e conferenze, alle vittime sarebbero stati proposti i finanziamenti dopo il deposito fiduciario nello studio legale Michelon di un brevetto (il progetto da finanziare).

A quel punto intervenivano Di Biseglie, in qualità di rappresentante delle società straniere, e Bottoni a nome di una sedicente banca d’oltralpe. Poi, concluso l’accordo, la vittima era tenuta a pagare il 2 per cento del prestito, dietro la garanzia della restituzione integrale di quell’anticipo spese.

Peccato che il prestito non sarebbe mai arrivato e le somme versate fossero trasferite in banche di Paesi Baltici o in Gran Bretagna.

Tra le vittime, Giorgio Heller, all’epoca dei fatti presidente del Livorno Calcio, che ha versato 54 mila euro in cambio di un prestito (mai conseguito) per pagare le fideiussioni in garanzia alla lega Pro serie C della Figc per l’iscrizione al campionato della squadra toscana nell’anno 2020-2021. 

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