Migranti, cultura e diritto «Giudicarli non è facile»

Si fa presto a dire crimine. Con le migrazioni di massa, i confini della legalità diventano più fragili. E non tanto perché manchi la certezza del diritto, quanto invece perché nel giudizio diventa...
20090623 - ROMA - SOI - CONFLITTI: BAMBINI SOLDATO, 250.000 COINVOLTI IN GUERRE. Un bambino-soldato della SLA, in una foto del 2004 in Darfur. E' una delle immagini della mostra fotografica inaugurata questa mattina 23 giugno 2009 sulla piazza del Campidoglio a Roma. La mostra e' stata realizzata con la collaborazione di Unicef, Save the children, dal Network of young people affected by war, e dal Dipartimento delle Nazioni Unite per le operazioni di peace-keeping. Sono 250.000 i bambini coinvolti in conflitti in tutto il mondo, secondo le stime delle Nazioni Unite e di Save the Children. Vengono usati come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi. Le bambine e le ragazze sono costrette a prestare servizi sessuali. Oltre un miliardo di bambini (un sesto della popolazione mondiale) vivono in 42 paesi colpiti, tra il 2002 e oggi, da guerre e guerriglie. ANSA/ABDUL AHAD/DRN EDITORIAL USE ONLY - NO SALES - NO ARCHIVES
20090623 - ROMA - SOI - CONFLITTI: BAMBINI SOLDATO, 250.000 COINVOLTI IN GUERRE. Un bambino-soldato della SLA, in una foto del 2004 in Darfur. E' una delle immagini della mostra fotografica inaugurata questa mattina 23 giugno 2009 sulla piazza del Campidoglio a Roma. La mostra e' stata realizzata con la collaborazione di Unicef, Save the children, dal Network of young people affected by war, e dal Dipartimento delle Nazioni Unite per le operazioni di peace-keeping. Sono 250.000 i bambini coinvolti in conflitti in tutto il mondo, secondo le stime delle Nazioni Unite e di Save the Children. Vengono usati come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi. Le bambine e le ragazze sono costrette a prestare servizi sessuali. Oltre un miliardo di bambini (un sesto della popolazione mondiale) vivono in 42 paesi colpiti, tra il 2002 e oggi, da guerre e guerriglie. ANSA/ABDUL AHAD/DRN EDITORIAL USE ONLY - NO SALES - NO ARCHIVES

Si fa presto a dire crimine. Con le migrazioni di massa, i confini della legalità diventano più fragili. E non tanto perché manchi la certezza del diritto, quanto invece perché nel giudizio diventa sempre più difficile ignorare i contesti culturali nei quali i fatti sono avvenuti. I migranti che oggi sono in Europa si comportano talvolta in un modo che sarebbe lecito nel loro paese ma che non lo è qui. E allora nascono problemi che mettono in crisi perfino i giuristi più navigati.

Sul tema si sono confrontati ieri per tutta la giornata al Bo esperti di diritto internazionale, avvocati, docenti in un convegno promosso dall’ateneo di Padova insieme alla Leopold Franzens Universität di Innsbruck. L’intervento più atteso era quello di Cuno Tarfusser, pubblico ministero che oggi riveste il ruolo di vicepresidente della Corte penale internazionale dell’Aja. Tarfusser, come altri prima e dopo di lui, ha confessato le difficoltà quotidiane di chi è chiamato a valutare - e poi giudicare - crimini che sono culturalmente motivati. «Pensiamo ai bambini soldato, alle “bush wives” - le mogli dei capi della resistenza - ma anche alla distruzione dei monumenti storici e religiosi», ha detto Tarfusser. «Sono fenomeni vastissimi, basta immaginare i territori nei quali avvengono. Noi li giudichiamo con le leggi occidentali: prendiamo gli imputati, li portiamo qui e li processiamo. E loro non sanno neppure quando sono nati». E non ci sono dubbi che, sulla base dello Statuto di Roma, certi fatti siano criminosi. Ma è tutto molto meno lineare di quanto possa sembrare. «Di recente ho dovuto esaminare il caso di due donne, arruolate come bambine soldato in una milizia cattolica», ha raccontato. «Hanno subìto violenze atroci da bambine e poi da adolescenti, sono state sottoposte a crudeltà disumane da uomini che erano stati a loro volta bambini soldato, strappati all’infanzia quando avevano nove anni e poi diventati capi di quelle milizie. Posso giudicarli colpevoli senza tener conto di quello che hanno alle spalle? E se ne tengo conto, devo lasciarli liberi?». Tarfusser ha allargato lo sguardo allo sfruttamento impietoso, da parte dei paesi occidentali, di tanti paesi africani: due secoli di colonialismo prima e poi la pretesa di imporre un modello di convivenza. «E adesso ci lamentiamo per il fastidio che ci provocano i profughi? La verità è che prima di tutto dovremmo ricordarci che per noi ogni giorno, anche il peggiore, in linea di massima è un giorno di ferie. Per molti è un giorno d’inferno».(cric)

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