Mika a Venezia, fan a caccia Sta in Biennale con Swatch

VENEZIA. Ìl nuovo Swatch ha la faccia di Mika e Mika la faccia di uno che si diverte un sacco. Testimonial del marchio svizzero, scelto (anche) per via dei suoi 30 anni tondi tondi che coincidono con l’età degli orologi di plastica più venduti al mondo, il cantante libanese ha diligentemente twittato la sua incursione di ieri in laguna tirandosi dietro i sospiri e gli appostamenti del suo seguito di adoratrici che l’ha tampinato per tutto il giorno.
È all’hotel Europa & Regina. No, è sulla terrazza del Monaco. No, è a Rialto. Di certo farà un salto nel negozio Swatch delle Mercerie dove invece c’erano solo le commesse un po’ avvilite che ripetevano di non saperne niente, vuoi per la consegna del silenzio vuoi perché davvero tutto si è mosso ai piani molto alti, secondo una regia di marketing che guarda molto all’arte, ai giovani e al futuro e che ha fatto della Swatch un main sponsor della Biennale di Arti Visive.
Arrivato a Venezia all’ora di colazione insieme alla sorella Yasmine, stringate pitonate, camicia bianca, giacca nera, Mika ha sparso indizi di dov’era postando le sue foto in motoscafo lungo il Canal Grande, esultando con “Here we are” e materializzandosi infine a Ca’ Giustinian per presentare i due nuovi Swatch (uno limited edition e l’altro illimited) ai quali ha dato forma e sostanza. Un po’ tribali, un po’ etnici, un tocco primitivo e un altro fumettistico, coloratissimi, i due orologi di Mika presentati ieri in anteprima si aggiungono al progetto Swatch Faces, ovvero le facce - tutte belle, tutte di 30 enni - che la Swatch aveva scelto per festeggiarsi portandole nel giugno scorso alla Biennale con tanto di Swatch party finale all’isola di San Giorgio.
«Inventare un orologio era il mio sogno, anche se non so tanto bene leggere il tempo» ha spiegato Mika che ovviamente, pur avendo un polso solo, ha una collezione intera di orologi che cambia ogni mattina così come cambia maglietta. Comprensibilmente felice anche il presidente della Biennale Paolo Baratta che ha ricordato come gli artisti vengano volentieri alla Biennale «perché c’è un clima rilassato, senza numeri uno o numeri due, con una pluralità di voci che è indispensabile per la creatività».
Manuela Pivato
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