Milano, anteprima con scaletta ridotta e tanta energia

Il primo concerto londinese. Poi quel comunicato che era stato capace di preoccupare i fan: Eddie Vedder senza voce e la seconda data alla 02 Arena saltata. Subito dopo, sarebbe stato il turno della...

Il primo concerto londinese. Poi quel comunicato che era stato capace di preoccupare i fan: Eddie Vedder senza voce e la seconda data alla 02 Arena saltata. Subito dopo, sarebbe stato il turno della leg italiana del tour: confermata. Prima tappa, venerdì sera, agli iDays di Milano, nell’area che ospitò l’Expo, davanti a oltre 60mila persone. Eddie Vedder ha riacquistato completamente la voce? No. Ma venerdì, sul palco di Milano, ci ha messo cuore. Troppo stucchevoli? E allora rincariamo la dose: ci ha messo un’energia non comune, anche a costo di perdere ulteriormente quella voce che già gli aveva fatto un brutto scherzo. D’altra parte, il rapporto tra i Pearl Jam e il pubblico italiano è di quelli non comuni: «Milano tira fuori il meglio di me. Stasera canteremo insieme, stasera sarete nella band».

Vedder compare sul palco degli iDays alle 21.15. In mano, un foglio interamente scritto in italiano, sono le sue parole per il suo pubblico: «Nel 1992 abbiamo suonato per la prima volta in Italia. Oggi cominciamo con la prima canzone di quella sera». La prima canzone è “Release”, ghost track dell’album d’esordio della band di Seattle: disco che conteneva pezzi come “Even flow”, “Alive” e “Black”, per intenderci. La voce di Vedder, nella prima parte del concerto, è incerta. Il pubblico corre in suo soccorso nei ritornelli. Il gruppo è più compatto che mai: una squadra di baseball al servizio del suo capitano, per usare una metafora che sicuramente Vedder apprezzerebbe (ricordate “Let’s play two? ”). Lui è debilitato, ma ce la mette tutta per portare a casa la serata, paradossalmente trasformando in un asso quello che in realtà sarebbe un handicap e, di fatto, consegnando il concerto alla storia. La scaletta è disseminata di tanti piccoli gioielli che raramente i PJ avevano fatto ascoltare al loro pubblico: ci sono “I got ID”, “Footsteps” e “You are” Nel mezzo c’è tanta altra musica: c’è “Eruption” dei Van Alen, su cui si scatena un incontenibile Mike McCready, vero coprotagonista della serata, ci sono i Pink Floyd di “Another brick in the wall”, sulle cui note sfuma “Daughter”. E c’è la politica, intrecciata con l’amore. Vedder ricorda che proprio a Milano, al termine di un suo concerto al Forum, diciott’anni fa conobbe la donna che sarebbe diventata sua moglie e madre dei suoi figli. La chiama sul palco. Jill McCormick lo raggiunge, indossa un parka verde e la scritta “I really care, don’t you? ”, in risposta allo stesso parka indossato qualche giorno fa da Melania Trump, in visita ai ragazzini migranti al confine tra Stati Uniti e Messico. Sul suo parka, però, campeggiava la scritta “I don’t care, do you? ”. Politica a parte, i due festeggiano i diciott’anni insieme, con tanto di bacio, brindisi e spumante lanciato sulle prime file. Vedder decide di spingere ancora più sull’acceleratore, per una cavalcata finale che non ha nulla da invidiare a quelle dei live dei Pearl Jam nella miglior forma. Due ore di musica e una scaletta inevitabilmente ridotta rispetto a quella londinese. Ma la qualità non si misura in quantità. È la prova di coraggio di Vedder, la prova di forza dei suoi compagni e un segno di amore assoluto e ricambiato tra band e pubblico.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova