«Morelli mi ha immerso in un universo di suoni»

VENEZIA. Il progetto “Nuova musica alla Fenice”, prime esecuzioni frutto di commissioni del Teatro a musicisti italiani, è dedicato alla memoria di Giovanni Morelli, musicologo e docente...

VENEZIA. Il progetto “Nuova musica alla Fenice”, prime esecuzioni frutto di commissioni del Teatro a musicisti italiani, è dedicato alla memoria di Giovanni Morelli, musicologo e docente universitario dagli interessi vastissimi, che ha lasciato molti saggi dedicati alla contemporaneità. Il prossimo appuntamento è con “Non un silenzio”. Un’occasione del tutto particolare: l’autore è Andrea Liberovici, figlio del compositore Sergio, che dall’età di due anni ebbe con Giovanni Morelli un rapporto filiale. Fu lui ad accompagnarlo al Conservatorio “Benedetto Marcello” per l’esame di ammissione a viola e con lui e la madre Margot Galante Garrone, poetessa, regista, cantante, ha vissuto gli anni della formazione.

Qual è stata l’influenza musicale che Giovanni Morelli ha esercitato su di lei?

«È stata un’influenza assoluta. Non ha svolto una funzione didattica, indicandomi questo o quel brano, questo o quell’autore, ma Giovanni ascoltava musica dalla mattina alla sera, mia madre a sua volta cantava e suonava, appena sono stato in grado di farlo, abbiamo spesso suonato in trio. Giovanni suonava molto bene il pianoforte. Ero immerso in un universo sonoro estremamente stimolante, che comprendeva tutto, senza preclusioni. Per un certo periodo ne fuggii, dedicandomi al rock, poi, verso i trent’anni, questa sedimentazione diede i suoi frutti ed iniziai la mia attività di compositore».

Anche il titolo del brano che lei propone è formato con parole di Giovanni.

«Sì, sono le tre che concludono gli Scenari della Lontananza, un saggio del 2003, che per me ha qualcosa di definitivo. È una frase enigmatica, ambigua, che richiama una molteplicità di significati. Viviamo dentro un grande suono che è quello dell’universo, come la fisica ha dimostrato e Cage ben descritto, “non un silenzio”, appunto. Questo è stato lo spunto creativo».

Una sfida, misurarsi con il silenzio, per lei che con Sanguineti ha fondato il “Teatro del Suono”.

«Ho sempre presente la frase “l’amore può essere cieco, ma non sordo”. Tutti gli esseri viventi sono espressione di suono e di queste vibrazioni è fatta la commedia-tragedia che è il nostro vivere. Nel brano c’è un ulteriore legame affettivo con Giovanni. Ho preso le tre lettere contenute nel suo nome e cognome, G A E, che corrispondono alle note sol, la e mi e su queste ho lavorato. L’orchestra è disposta in tre semicerchi successivi: cinque viole, tre violoncelli, otto violini e dietro un contrabbasso e una celesta. Non la si ascoltava a Venezia dal 2005, dalle musiche per l’Urfaust di Goethe. Venezia è la mia città e sto cercando casa per tornare a viverci».

Massimo Contiero

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