Muore un gatto, è un soffio d'aria

La parola “spirito” è imparentata direttamente con “soffio d'aria” (da cui “re-spirare”) e, nonostante i suoi significati plurimi, si riferisce sempre a qualcosa che c'è ma non si vede: uno spirito è un fantasma, lo spirito è alcol invisibile che evapora, una persona “di spirito” è sì un essere vitale e divertente, ma dentro e non in superficie.
Pochi giorni fa, purtroppo e mentre mi trovavo in Italia, è morto uno dei due gattini di casa nostra, il rosso ed elegantissimo Leo. Il lutto (perché così lo si deve chiamare, volenti o nolenti) ha provocato tristezza, in diversi toni e modi.
Leo, nei giorni precedenti alla sua scomparsa, ha fatto quello che in genere fanno tutti i gatti prima di spirare (“perdere lo spirito”): si è allontanato dal posto che per 13 anni è stato il suo nido, cioè la nostra casa. Ci si era detti che lo avesse fatto per la grandissima dignità che spesso alcuni tipi di animali sanno dimostrare -al contrario di molti di noi- nel momento fatidico.
Ci aveva pensato però la simpatica Piera, veterinaria di Leo, a demolire tutto il nostro romanticismo: i gatti, quando fan perdere le loro tracce in punto di morte, non fanno altro che cercare un posto in cui non li si possa trovare, visto che, sentendosi debolissimi, si percepiscono come in pericolo estremo. Perché in effetti, a pensarci bene: come può un gatto e gli animali in generale, percepire coscientemente che stanno per “morire” quando nessuno prima ha mai spiegato loro un concetto che nemmeno in noi è innato come quello di “morte”? Già, perché è proprio questa -ci viene sciorinato- la grande differenza tra uomini ed animali: noi siamo coscienti che un bel giorno ce ne andremo, loro, no. In altre parole: noi abbiamo un'anima misteriosa, loro ne sono privi. Anche se probabilmente, quando ci divisero in specie, non ne erano molto convinti, visto che “animale”, anche lui, è legato proprio ad “anima” che proprio dal greco “vento” e quindi ad “aria”, cioè ancora una volta da “spirito”, quella misteriosa sostanza che quando attraversa i corpi, li rende vivi. Viene un po' da pensare al fantastico libro “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” di Philip K. Dick (da cui Ridley Scott trasse il celeberrimo film “Blade Runner”), racconto visionario in cui gli umanoidi protagonisti hanno una data di scandenza predeterminata che però, ahiloro, disconoscono.
Che sia proprio questo il motivo per cui ci sia stata quella volta affibbiata una coscienza? Saremmo in grado di vivere la nostra esistenza così appieno tra passioni, gioie e sofferenze se, proprio come i gatti, non sapessimo che prima o poi lasceremo questa terra? Un mio caro amico, padre di due ragazze, una volta dovette rispondere ad una loro domanda, che in realtà arriva a tutti i genitori: “Papà, ma Babbo Natale esiste?” “Babbo Natale esiste solo se ci credi, tesoro”, aveva risposto lui. M'era parsa una risposta perfetta. Ma forse la veterinaria Piera non sarebbe molto d'accordo.
(Cristiano Righi è artista ed insegnante di italiano a Mosca. Www.artistacris.com cris_righi@yahoo.com)
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