Naviglio interrato, la città cambiò volto

Negli anni ’50 Il fiume venne sepolto in una bara di cemento, e un tratto incantevole scomparve per sempre
Di Aldo Comello
BARSOTTI - FOTO STORICHE PADOVA
BARSOTTI - FOTO STORICHE PADOVA

Il fiume sepolto vivo in una bara di cemento. Negli anni cinquanta quando Padova voleva diventare la Milano del Veneto, fu lasciata mano libera al partito del mattone. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Cesare Crescente, a cui vanno riconosciuti meriti considerevoli, per esempio per aver fortemente voluto la Zona Industriale, era innamorata del progresso, puntava ad una città fatta di grandi strade su cui far correre tante automobili. In questo spirito fu deciso l’interramento del Naviglio dalle Porte Contarine al Ponte delle Torricelle.

Una città nascosta

Scomparve sotto la massicciata anche il ponte San Lorenzo, ponte romano a tre arcate costruito per scavalcare quello che allora era un grande fiume. Si cancellò un tratto incantevole di città: la passeggiata lungo il canale verde e sussurrante portava dal cuore di Padova vecchia verso la basilica del Santo, procedendo incontravi anche uno slargo, una piazzetta polverosa che si chiamava piazzetta del moraro, per via di un gelso che vi cresceva. Qui ragazzini a piedi nudi ingaggiavano indimenticabili partite. A volte riuscivano a coinvolgere Nicolé che abitava proprio lì in corte. Nicolé era un campione del calcio, snello, leggero, velocissimo e con un intuito del gol miracoloso. In questi anni l’ansia di modernità suggerisce altre imprese.

Il palazzo torre

Il sogno di una città verticale, con lo slancio tipico delle metropoli, in parte si realizza: viene costruito il palazzo-torre in piazza Insurrezione e un altro gigante nasce sulle rovine del cinquecentesco palazzo Arnhold, opera di Andrea Moroni: è il grattacielo di Largo Europa; alto 68 metri, questo moderno obelisco che accoglieva al piano terra gli uffici del Banco di Roma, era pure frutto dello scempio dell’antico quartiere del Carmine.

Il tombinamento del Naviglio

Ma l’opera che provocò più polemiche, date le dimensioni, fu appunto il tombinamento del Naviglio per creare Riviera Ponti Romani e Riviera Tito Livio. Scrisse Luigi Gaudenzio. «Il nostro naviglio interno è una nota così riposante e caratteristica, così legata al tessuto urbanistico e al sentimento umano, che sopprimerla per dei vantaggi discutibili e, in ogni caso, transitori, vuol dire guastare irreparabilmente il volto di Padova e rendere la città più opprimente e più tetra». Ma quali vantaggi? Si disse che le acque erano putride, che dal canale si levavano miasmi pestilenziali e nuvole di zanzare. L’operazione assunse contorni igienico sanitari, ma una bonifica sarebbe stata più celere e meno costosa (aumento del livello dell’acqua, pulizia dell’alveo). In realtà i veri motivi erano altri: aprire una nuova direttrice per il traffico sud-nord sempre più intenso, realizzare un’operazione finanziaria con i fiocchi. In effetti il valore degli immobili lungo il fiume, trasformati da retrò quasi invisibili in quinte abitative o commerciali su una strada di grande traffico, veniva moltiplicato, a volte elevato a potenza. Splendido per le tasche dei residenti, ma come dimenticare che prima dalla Canottieri o dalla Rari Nantes si poteva risalire in barca fin dietro il Bo, dal Bassanello a colpi di remo fino al centro della città, un lusso veneziano. In riva al Naviglio c’era anche il mercato del pesce. Si trovava alla fine della discesa verso il fiume da piazza Cavour, attraverso il vicolo di fianco al cinema Eden (già Adua, ora ristorante Brek), sono scorci sull’acqua cancellati per sempre.

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