Necropoli romana sotto l’Arcella dal suolo spuntano anfore e urne

ARCELLA. Una necropoli nascosta sotto l’Arcella: è una delle ipotesi avanzate dagli archeologi della Soprintendenza, alla luce degli scavi che avevano bloccato, poco più di un anno fa, i lavori di prolungamento del sottopasso ferroviario. L’indagine è stata molto accurata e ha portato alla luce cinque urne funerarie, numerose anfore e le mura di un edificio recente, collocabile come datazione tra le due guerre.
La tesi più affascinante riguarda senza dubbio la necropoli: «Lungo gli assi principali che escono dalla città» spiega Elena Pettenò, responsabile della Soprintendenza per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso «sono state ritrovate numerose sepolture: nell’area della stazione e di via Avanzo le testimonianze non sono molte, ma è ipotizzabile che la necropoli si estendesse verso l’Arcella. Certo per verificare» sorride «dovremmo buttar giù il quartiere». Le urne trovate sono di epoca romana, collocabili tra il primo secolo a.C. e il primo d.C., e così anche le numerose anfore recuperate grazie agli scavi. Sono emersi anche un canale e un fossato, profondo circa un metro e mezzo: «La sequenza archeologica» spiega Samuele Gardin, curatore della presentazione «è stata però alterata da un’alluvione che ha distrutto tutto. Non possiamo sapere in che epoca sia arrivata: sicuramente dopo il primo secolo dopo Cristo, che è il periodo a cui risalgono i ritrovamenti». Il canale emerge in due punti non continui tra loro, ma gli studiosi ritengono che possa trattarsi dello stesso corso d’acqua, uno dei tanti della Padova fluviale. È definitivamente risolto, invece, il mistero delle mura più recenti: «qualcuno aveva parlato di mura romane, ma era evidente fin dall’inizio che non poteva essere così» puntualizza Pettenò «ora abbiamo la certezza che si tratti di un edificio del Nocevento, probabilmente costruito tra le due guerre». A dare la svolta all’indagine è stata la scoperta di una «esagonella», cioè una mattonella a forma esagonale: «ce n’è una identica al liceo Tito Livio» spiega l’archeologa «e questo ci conferma che i due edifici possono essere più o meno degli stessi anni».
Nel corso dell’esposizione sono state mostrate alcune suggestive immagini tridimensionali, che restituiscono la complessa stratigrafia dell’area: «Sono state realizzate con un particolare software» spiega Gardin «che lavora mettendo insieme fotografie sovrapposte. Le foto sono spesso scattate con dei droni, quando serve un’ampia panoramica, o con delle macchine attaccate ad una lunga asta, come in questo caso. Un tempo le ricostruzioni si disegnavano: oggi queste tecniche ci permettono di realizzare un lavoro di qualità e, dettaglio essenziale, in poco tempo».
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