«Nel silenzio, un lamento da sotto il treno»

CAMPOSAMPIERO. «Non dimenticherò mai quella parola: aiutatemi. Era un rantolo. Non ci credevo dopo mezz’ora di silenzio. Resisti, le ripetevo. Sono stata vicina a lei fino alla fine, che gioia poterla caricare viva su una barella. La notte quasi non ho chiuso occhio pensando a tutto ciò che ho visto». Cinzia Smaniotto, 43 anni, medico del Pronto soccorso di Camposampiero, combatte ogni giorno contro la morte e non smette di emozionarsi di fronte alla vita. Specie quando l’una e l’altra si alternano in una simile iperbole. Camposampiero, 18.30 di venerdì, la pioggia scende su un treno interregionale fermo sul corpo di una donna. Si vedevano soltanto una mano con gli anelli della vita e poi una gamba. Intorno il silenzio che cala dopo ogni tragedia, più forte anche dei rumori e della folla di una stazione ferroviaria il venerdì sera. Una donna di 53 anni di Trebaseleghe ha cercato di farla finita buttandosi sotto il treno in partenza. L’avevano data per morta, invece è sopravvissuta. Il suo ricovero in Neurochirurgia a Padova è l’ultimo atto di una potente altalena di emozioni che ha condiviso il team dei soccorritori.
Il racconto
«Ci hanno chiamato verso le 18.30 per una persona travolta dal treno», racconta Cinzia Smaniotto. «Siamo arrivati in stazione in pochissimo tempo perché è proprio dietro l’ospedale. Il treno era fermo, aveva ancora le luci accese, era successo da poco. Abbiamo chiesto di fermare il traffico ferroviario per poter intervenire sui binari. Era buio pesto, si vedeva pochissimo. Il corpo era completamente sotto il treno. Girandoci intorno ho visto che fuoriuscivano solo una mano e una gamba. Ho provato a chiamare quella donna, a farmi sentire. Silenzio. È morta, abbiamo pensato tutti. Non si può pensare che una persona sopravviva a un incidente del genere».
Passano circa 20 minuti, arriva una pattuglia della Polfer. Ancora silenzio, rispettato anche da tutti i pendolari fermi sulla banchina, incolpevoli spettatori di un dramma personale giunto all’ultimo atto.
«Improvvisamente sento un lamento uscire da lì sotto, allora mi avvicino con la mia infermiera Jessica Rizzato e con il mio autista Vasile Serban. Era una voce, la sua voce. La davamo per morta e invece no, c’era ancora una speranza. Abbiamo chiesto aiuto ai vigili del fuoco per provare a toglierla da lì sotto ma era difficilissimo, perché si era incastrata sotto la motrice. I pompieri hanno provato anche con i cuscinetti pneumatici ma il treno è troppo pesante per sollevarsi. Mentre ci provavano io ero lì. “Resisti, dacci il tempo”, le dicevo mentre mi implorava di aiutarla».
La manovra
È servita l’autorizzazione del pubblico ministero per spostare il treno con una specie di retromarcia, l’unico modo per sperare di estrarre quella donna.
«Ho visto un vigile del fuoco stendersi sotto il treno vicino a lei, per starle vicino e assisterla nel momento della manovra. Eravamo in tanti lì come soccorritori, ognuno con la sua divisa ma tutti uniti in questa battaglia bellissima che è la difesa della vita. Il treno si è spostato di un metro, l’abbiamo caricata in barella, le abbiamo dato ossigeno, era cosciente. In un attimo con l’ambulanza siamo tornati in ospedale per praticare tutte le cure urgenti. Ammetto che questa esperienza mi ha scosso. È stato tutto molto forte e la gioia di aver contribuito a questo salvataggio è qualcosa di difficile da descrivere. È esattamente il senso del nostro lavoro».
Tentato suicidio
Per motivi inconoscibili che, talvolta, spingono gli esseri umani a privarsi del dono della vita, questa donna aveva deciso di uscire di scena così: con un ultimo salto sotto un treno in stazione. Il convoglio era appena partito, viaggiava a una velocità limitata, massimo 40 chilometri orari secondo la polizia. Il macchinista ha visto la sagoma, ha frenato, è riuscito a rallentare ulteriormente la corsa ma non a evitare l’impatto. Carne e acciaio si sono mescolati in questo dramma tutto personale giunto all’ultimo atto nel modo più plateale: farla finita in stazione, davanti a tutti. Lì il sudore dei soccorritori si è mescolato con il sangue della vittima per scelta, graziata per un gioco del destino. Data per morta, invece viva, ora accudita, curata e pensata da chi, con mani sapienti, l’ha tenuta stretta per quaranta minuti abbondanti. Qualcuno dirà che è stato un caso, altri invocheranno il miracolo. Ma i miracoli, a volte, hanno anche nomi e cognomi. —
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova