Nell’Italia fascista irrompe il cinema americano così è cambiato il costume degli italiani

Tra le conseguenze della Prima guerra mondiale c’è sicuramente il lancio della potenza statunitense nel panorama europeo: la presenza degli Stati Uniti nell’ultimo anno di guerra comportò anche...
Di Michele Gottardi

Tra le conseguenze della Prima guerra mondiale c’è sicuramente il lancio della potenza statunitense nel panorama europeo: la presenza degli Stati Uniti nell’ultimo anno di guerra comportò anche – nell’immediato dopoguerra – la loro consacrazione sia dal punto di vista economico che culturale. Furono gli anni dei piani Dawes e Young, antenati del piano Marshall, per risollevare la Germania di Weimar; ma anche gli anni ruggenti, in cui il capitalismo rampante di Wall Street e delle mafie faceva impennare la borsa americana preparando il giovedì nero del ’29. Ma furono anche gli anni in cui il cinema d’oltre oceano irrompeva definitivamente nel panorama dei maciste e delle dive del muto di casa nostra, incidendo a fondo sul gusto, sul costume e sul linguaggio, sulla morale e persino sulla psicologia dell’italiano medio del ventennio fascista. Sulla nascita e la diffusione di questo impero cinematografico, che dura praticamente senza soluzioni di continuità sino a oggi, indaga oggi un libro, ricco di ricerca e di ricordi, di Gian Piero Brunetta. Uno studio che si inserisce nel solco di due altri precedenti lavori dello storico padovano del cinema, “Il viaggio dell’argonauta” e “ Buio in sala”. Come questi, anche “Il ruggito del Leone” (presentazione oggi alle 17 alla Casa del Cinema di Venezia, presente lo stesso autore che ne parlerà con il critico Giuseppe Ghigi e con il direttore del Circuito Cinema comunale Roberto Ellero) insiste sul valore emozionale che il cinema suscitò negli anni eroici in cui iniziò ad affermarsi come industria, oltre che come fabbrica dei sogni. Il leone del titolo non è alato e non vola a Venezia, ma ruggisce sornione dal logo della Metro Goldwyn Mayer. Perché proprio la Metro rappresentò, meglio di ogni altra major, il senso di questa conquista, che si manifestò nella immediata diffusione di rotocalchi e riviste di cinema, da “Cinelandia” a “Cinema illustrazione” sino ai cineromanzi, che avevano nutrite rubriche di posta dove, con un infinito numero di pseudonimi, i lettori firmavano la corrispondenza, evocando grandi attrici (Greta, Marlene, Lupe) o stati d’animo venati da una forte dose di melò (cuore solitario, cuore infranto, rubacuori, goliardo innamorato). Ma anche nella nascita di neologismi, nonostante l’autarchia del fascismo. Un percorso di egemonia culturale progressiva e non immediata, che trovò la sua massima consacrazione all’inizio degli anni Trenta, con l’arrivo di nuove stelle dal Tarzan di Weissmuller a Stanlio & Ollio, da Clark Gable alla Garbo. Nel giro di poco più di un decennio Hollywood si era data una struttura industriale e artistica ben coordinata, ma soprattutto aveva scoperto la pubblicità: attraverso di essa e quelli che oggi chiameremmo gadget come i programmi di sala e i francobolli chiudi-lettera, si creava un’aspettativa tale che all’uscita del film le sale si riempivano in un attimo. Una testimonianza curiosa lo chiarisce: Brunetta cita la corrispondenza tra il proprietario del cinema Smeraldo di Valeggio sul Mincio e l’agente distributore della Metro, dalla quale si evince come il pubblico venisse forzatamente indirizzato verso un gusto che già di per sé stava americanizzandosi, attraverso concorsi come i 14 viaggi premio a Verona – “la città di Giulietta e Romeo”, in concomitanza con l’uscita del film di George Cukor – per chi avesse raccontato la più bella storia d’amore, vera o immaginaria. Vi erano poi autentici premi di produzione per gli esercenti. . La situazione andò a crescere sino al fatidico 1938, anno delle sanzioni e delle leggi razziali, in cui Mussolini cambiò politica, imponendo un freno anche alla tradizionale simpatia della famiglia – il figlio Vittorio direttore di “Cinema” in primis – verso la produzione americana. Il gusto popolare si era ormai formato e sarebbe riemerso, con maggior forza, dopo il 1945.

Gian Piero Brunetta,

«Il ruggito del Leone.

Hollywood alla conquista dell’impero dei sogni nell’Italia di Mussolini», Venezia, Marsilio 2013, pp. 318, € 25.

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