Neutrini-record, c'è anche un po' di Padova
I ricercatori padovani dell'Infn al meeting nei laboratori del Gran Sasso per la scoperta che può rivoluzionare la fisica
Il fisico Antonio Ereditato a capo del team che ha condotto lo studio sui neutrini
PADOVA.
Anche il secondo esame è stato superato: i dati della collaborazione internazionale Opera, secondo i quali i neutrini viaggiano più veloci della luce, sono stati accolti nel migliore dei modi nel seminario organizzato nei laboratori nazionali del Gran Sasso dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). E al meeting, che ha coinvolto 150 ricercatori da tutto il mondo, ha visto in prima fila la delegazione padovana, guidata dal professor Antonio Masiero, fisico dell'Infn di Legnaro.
«Siamo molto emozionati, afferma Masiero, «adesso il punto importante è progettare qualche nuovo esperimento e dedicare ricerche specifiche a queste misure. Negli Stati Uniti l'unico centro in grado di riprodurre un esperimento del genere è il Fermilab di Batavia, vicino Chicago, che invia un fascio di neutrini al rivelatore Minos, che si trova nella miniera di Soudan, nel South Dakota. Anche in questo esperimento, come in quello europeo Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), le particelle percorrono circa 730 chilometri. Con gli Stati Uniti siamo già in contatto. L'altro laboratorio al mondo in grado di ripetere l'esperimento Cngs si trova in Giappone e si chiama T2K (Tokai to Kamioka). E' una collaborazione internazionale alla quale partecipa l'Italia e in questo caso la distanza fra i rivelatori è di 295 chilometri».
Anche nei laboratori del Gran Sasso ci si sta organizzando per ripetere e perfezionare le misure. Oltre ad Opera, sono coinvolti gli altri due esperimenti basati sul fascio di neutrini che dal Cern raggiungono il Gran Sasso, chiamati Icarus e Borexino. Cosa vuol dire per i neutrini viaggiare più veloci della luce? Se mettiamo in gara, per fare un esempio sportivo, sulla distanza di 730 chilometri un fotone (il corpuscolo della luce o «quanto» del campo elettromagnetico) e un altro levriero della fauna delle particelle, il neutrino, quest'ultimo taglia il traguardo con 60 miliardesimi di vantaggio che, fatti i conti, equivalgono a 18 metri.
La luce, cioè, per spostarsi dal Cern di Ginevra ai laboratori nazionali del Gran Sasso, alla velocità di 300 mila chilometri al minuto secondo impiega 2,4 millesimi di secondo, il neutrino 60 miliardesimi di secondo di meno. I dati di Opera, un lavoro scientificamente impeccabile, che ha impegnato per due anni i fisici più prestigiosi del mondo sono stati appena presentati in Giappone nel corso di un convegno organizzato a Nagoya. E ieri il meeting nei laboratori Infn del Gran Sasso si è concluso con un giudizio positivo: il secondo test è stato superato a pieni voti.
Insomma, la comunità scientifica è elettrizzata dalla scoperta. La teoria di Einstein dovrebbe essere modificata, potrebbero emergere nuove scale di grandezza e nuovi equilibri riferiti all'intero universo.
«Einstein», dice il professor Giulio Peruzzi, docente all'Università di Padova di Storia della Scienza, «sarebbe contento di questa sorpresa. Lui sostenne che la scienza è una via di fuga dalla meraviglia, quello che si scopre di meraviglioso per studio o per intuizione va acquisito e ordinato secondo canoni scientifici, quindi è uno stimolo potente».
Il neutrino è stato per anni, fin dai tempi di Wolfang Paul che l'aveva individuato battezzandolo neutralino, una sorta di oggetto misterioso: proporzioni infinitesime, assenza o quasi di massa. Esisteva o no? L'esistenza si intuiva dallo scattering, lo sparpagliamento degli elettroni che faceva pensare ad una reazione a tre corpi. La quantità di questi corpuscoli era tale che si pensò, addirittura, che fossero i componenti della materia oscura dell'Universo. L'identificazione più precisa, anche il nome nuovo (cominciarono a chiamarsi neutrini) il possesso di una massa, si diffusero a fatica: Enrico Fermi, è vero, aveva definito la «varietà zoologica» delle particelle tra cui veniva annoverato anche il positrone, l'elettrone positivo dell'antimateria. Ricerche fondamentali erano state fatte da Bruno Pontecorvo, ma dopo il 1949 quando si era già trasferito nell'ex Unione Sovietica per cui alcune scoperte restarono a lungo confinate nel laboratorio di Dubna. Ci si era accorti che l'irradiazione solare trasportava molti meno neutrini di quanto fosse prevedibile. Il fatto è che questi corpuscoli sono «uno, nessuno e centomila».
Sono proteiformi perché c'è il neutrino dell'elettrone (E) il più piccolo e leggero, il neutrino Mu, il neutrino Tau più imponente. Il cambiamento di massa è segnalato da oscillazioni nello spostamento. Questo per dire che all'inizio l'identificazione di questo elemento che rientra nel campo dell'elettromagnetismo fu faticosa. A volte non si sapeva che cosa cercare.
«La scoperta della straordinaria velocità del neutrino» dice Giulio Peruzzi, «è importante, il lavoro svolto è molto serio, ma restano comunque elementi di incertezza. Penso che sia necessario almeno un altro anno di lavoro perché tutto sia verificato attraverso confronti tra scienziati e uno scandaglio accurato di tutte le misure. Un problema è quello degli orologi: quello che segna la partenza dal Cern e quello che segna l'arrivo al Gran Sasso devono essere precisi non al minuto e nemmeno al millesimo di secondo perché si tratta di misurare quei famosi 18 metri di vantaggio del neutrino, su 730 chilometri, percorsi in 60 miliardesimi di secondo. Insomma, orologi precisi al miliardesimo di secondo. Basta un soffio, magari il famoso battito d'ali della farfalla brasiliana che fa cambiare il tempo, perché i conti non tornino più. Insomma, un problema tecnico non facile. Un altro è la base di partenza».
I neutrini partono a pacchetti? Partono da un punto preciso? Sembra che anche in questo caso si verifichi un certo sparpagliamento che renderebbe la base di partenza non del tutto lineare. «L'irrinunciabilità delle verifiche», dice Peruzzi, «porta a pensare che non abbiano tutti i torti quelli che sostengono che sarebbe stato opportuno invece dell'annuncio pubblico con conseguente fall-out mediatico, pubblicare la ricerca su riviste internazionali dotate di referee, Science, Nature o anche altre testate di prestigio che si occupano di fisica. Ciò avrebbe aperto più spazio di confronto e più tempo di riflessione».
Ma la materia è così appassionante che il rimbalzo fantascientifico o semplicemente fantastico è quasi inevitabile. Basti pensare che il superamento della velocità della luce spezza la «timeline». Non più tempo, ma spazio-tempo in un'unica dimensione.
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