«Noi, licenziati e prigionieri nelle Antille Francesi»

PADOVA
Un paradiso amaro. L’isola preferita dal miliardario americano David Rockefeller chiude per coronavirus. Alberghi sbarrati, ingressi dei resort incatenati, spiagge vuote, strade deserte. E loro lì, prigionieri. Quaranta italiani tra cui cuochi, camerieri, baristi animatori. Non riescono a rientrare in patria e hanno paura perché a Saint-Barthélemy, isola dei vip nel mar dei Caraibi, non c’è nemmeno un ospedale. In questa comitiva di lavoratori rimasti senza lavoro, senza stipendio e senza via di ritorno, ci sono anche quattro veneti: Matteo Biolzi, 40 anni, di Padova, responsabile del ristorante; Tommaso Rocco, 21 anni, di Mirano, cameriere; Carlo Biesuz, 20 anni, di Feltre, aiuto cuoco; Andrea Fiorini, veronese di Valpolicella, 23 anni, barista. «Abbiamo contattato le autorità ma, in sintesi, ci hanno detto di arrangiarci. L’unico volo costa 2.500 euro e non possiamo permettercelo. Abbiamo paura che il virus arrivi qua, vogliamo tornare in Italia».
Saint-Barthélemy, o Saint Barts, è un’isola delle Antille Francesi con una estensione di 25 chilometri quadrati e 9 mila residenti. Tra gli anni ’80 e ’90 personaggi del calibro di Madonna, Claudia Schiffer e Naomi Campbell ne hanno fatto una delle mete più chic e costose al mondo. Un piccolo e selezionato esercito di lavoratori del turismo è riuscito a trovare un’occupazione lì, nei resort cinque stelle affacciati sul mare cristallino che è tuttuno con il cielo, nei cocktail bar, nelle spa, nei centri attrezzati per windsurf e snorkeling. Sulla mappa è un piccolo puntino tra Porto Rico e Guadalupa, anche se in realtà è territorio francese.
«Dopo il discorso di Macron l’isola si è svuotata» racconta il padovano Matteo Biolzi. «I turisti se ne sono andati, gli alberghi e i resort hanno chiuso. Il nostri rapporti di lavoro sono stati interrotti. Ci hanno dato il permesso di rimanere negli alloggi ma non sappiamo per quanto ancora».
Ci sono stati anche alcuni contatti con l’ambasciata italiana in Francia ma, raccontano i lavoratori, nessuna soluzione è stata prospettata. «Duemilacinquecento euro è un costo esorbitante per noi» lamenta Tommaso Rocco. «Se dovesse partire il contagio anche qua non so davvero come potrebbe finire. Di mascherine nemmeno l’ombra, di presidi medici non ne parliamo. Una collega, qualche mese fa, si è rotta il tendine di un dito. È dovuta tornare in Italia per farsi operare, perché qua non sono attrezzati».
L’alta stagione a Saint Barts è tra dicembre e gennaio, tra febbraio e marzo il flusso dei turisti un po’ cala per poi impennarsi nuovamente verso Pasqua. L’isola che descrivono questi ragazzi è un luogo in cui sta calando il silenzio, in cui l’unico rumore è quello del mare e del vento. Basta feste in spiaggia o aperitivi. Il discorso alla nazione di Macron e l’emergenza che sta terrorizzato la Francia hanno, di fatto, paralizzato anche questo piccolo paradiso in mezzo all’oceano. La comitiva di italiani conta una quarantina di persone: ci sono umbri, piemontesi, toscani.
«Questa per me era la prima esperienza all’estero» racconta il bellunese Carlo Biesuz. «Siamo rimasti senza lavoro e quindi anche senza retribuzione. Con noi abbiamo qualche spicciolo ma non possiamo certo mantenerci a lungo con i prezzi proibitivi che ci sono qua. Io chiedo di tornare in Veneto, dove se serve mi posso anche curare». Accanto a lui c’è Andrea Fiorini della Valpolicella. «A questo punto non ci resta che lanciare un appello alle autorità, al governatore del Veneto Luca Zaia: vi prego, fateci tornare».
Nel giro di una settimana c’è stato un fuggi-fuggi generale. Nell’isola sono rimasti aperti due supermercati e una farmacia. La stretta è totale. «Quasi non ce ne siamo resi conto. Eravamo impegnati a lavorare e non ci facevamo caso a ciò che stava accadendo nel mondo», dicono spaesati.
La foto di gruppo li ritrae assieme sulla terrazza-bar dove si organizzavano le colazioni e dove ora non c’è più niente e nessuno, a parte loro. Si vedono il mare, le montagne, le nuvole. Nient’altro. E d’improvviso l’orizzonte, con le nuvole che specchiano sull’acqua, genera soltanto ansia e apprensione. —
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