«Non è presidio medico» Dissequestrati i dispositivi della Barter4media

CARMIGNANO DI BRENTA
Un mese fa la Guardia di finanza aveva sequestrato quasi 200 mila mascherine in un capannone di Carmignano, ma il Tribunale del Riesame ha dissequestrato tutto il materiale: la ditta finita nel mirino – la Barter4media Srl – non aveva venduto i presidi contro il Covid-19 come «dispositivi di protezione individuale” né come “dispositivi medici”, e quindi non c’è il “fumus” della frode in commercio». Il 26 maggio la sezione del Riesame del Tribunale di Padova è intervenuta sulla vicenda apertasi in una fase in cui le forze dell’ordine stavano svolgendo numerosi controlli per evitare che qualcuno approfittasse dell’emergenza; l’operazione di sequestro del 6 maggio scorso nell’Alta Padovana aveva suscitato un certo scalpore ed era stata ripresa in alcune sue fasi anche dalle telecamere del Tg satirico di canale 5 “Striscia la Notizia”. L’avvocato della ditta di Carmignano, Filippo Schiavon, che ha difeso le ragioni della legale rappresentante Susanna Tonin, osserva che con l’ordinanza il Tribunale ha accolto totalmente le ragioni della difesa e «ha disposto l’immediato dissequestro e la restituzione delle mascherine illegittimamente sequestrate per insussistenza dei presupposti di legge». «Il Tribunale», sottolinea il legale, «ha infatti accertato che le mascherine venivano legittimamente commercializzate da Barter4media Srl come “surgical mask monouso 3 veli” e non come dispositivi di protezione individuale o dispositivi medici marcati Comunità Europea». In sostanza, non è stata ravvisata alcuna frode in commercio, dal momento che la Barter4media «avvertiva espressamente gli acquirenti che si trattava di mascherine non ad uso medico e, come tali, non necessitanti di certificazione CE». Massima trasparenza nei confronti dei clienti, quindi. Nell’ordinanza in cui hanno ripercorso l’accaduto e ricostruito giuridicamente la fattispecie, i giudici hanno osservato che anche nel corso della perquisizione e del sequestro «l’indagata aveva affermato che al momento della rivendita sulle scatole venivano apposte etichette inamovibili che coprivano il marchio CE e avvertivano l’acquirente che le mascherine non costituivano dispositivi medici: inoltre all’interno della scatola veniva inserito un ulteriore avvertimento circa l’assenza dei requisiti per essere dispositivi di sicurezza». Una linea di condotta, quella tenuta dall’azienda di Tonin, confermata anche dalle fatture acquisite dalla Guardia di finanza.
Nell’ordinanza si legge che i finanzieri avevano notato che «il marchio CE apposto sulle scatole contenenti le mascherine appariva non conforme in quanto asimettrico». Per questo è stato chiesto a Tonin di esibire la documentazione che attestasse la conformità delle mascherine alla normativa europea.
«L’indagata», si legge nell’ordinanza, «forniva alla Guardia di finanza documentazione relativa a controlli svolti da ente non autorizzato alla certificazione di conformità. Attesa l’assenza di certificazione, la polizia giudiziaria sottoponeva a sequestro tutte le mascherine rinvenute in loco e acquisiva in copia la fattura di acquisto dall’importatore JG Europe srl e 45 fatture di vendita della Barter4media ad altri soggetti». Il sequestro del 6 maggio è stato convalidato il giorno dopo dal pubblico ministero. Nei giorni successivi la difesa ha impostato le proprie argomentazione ed ha contestato il fumus del delitto; alla fine ha ottenuto ragione, evidenziando – in particolare – che la società dell’indagata non è né produttore né importatore delle mascherine sequestrate, ma a sua volta «acquirente dell’importatrice JG Europe Srl». E nell’incertezza sui requisiti delle mascherine, la rivendita è avvenuta senza l’indicazione che avrebbe determinato la frode, ovvero quella di “dispositivi di protezione individuale” o “dispositivi medici”. Nelle conclusioni i giudici hanno quindi escluso il presupposto necessario per confermare il sequestro «sia sotto il profilo soggetto che sotto quello oggettivo della frode», dal momento che la società dell’indagata è andata a vendere le mascherine «con l’avvertimento che non sono corrispondenti alle normative di sicurezza» della Comunità Europea. —
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