Sorpreso a dormire all’ex Prandina a Padova, invisibile processato e poi assolto
L’odissea di un53enne tunisino che da vent’anni sta cercando di regolarizzarsi, tra truffe e delusioni, ripari precari e vita di strada. E’ stato portato davanti al giudice per occupazione abusiva. Difficile avere i documenti senza un lavoro e viceversa

È un invisibile da anni, senza tutto: documenti, casa, lavoro, famiglia. Vive dormendo qua e là; e in questi giorni, più freddi degli altri, grazie al Progetto Emergenza ha un letto garantito dalla Caritas per un po’ di notti e un pasto quotidiano offerto dall’unico punto di riferimento stabile per chi non ha nulla, le Cucine popolari. Ma a breve tornerà in strada, cercando riparo e accoglienza dove capita, dopo aver provato e riprovato a regolarizzare la sua posizione.
Un contratto di lavoro lo aveva trovato, ma era truffaldino: solo un pezzo di carta in cambio di soldi. E anche quella speranza è tramontata. Ieri, almeno, una piccola soddisfazione per Ali Migha, tunisino classe 1972, un’età anagrafica sempre più difficile da far convivere con una vita randagia e, di certo, non per scelta.
Dopo sedici mesi di patimenti, Ali ha vinto la sua battaglia in tribunale, ottenendo l’assoluzione dall’accusa “di aver invaso arbitrariamente un edificio pubblico di proprietà del Comune di Padova”, si legge nel capo d’imputazione.
Una piccola battaglia ma, per lui, una grande vittoria che ha cercato di conquistare con tutta la forza che poteva, sostenuto dall’avvocato Marco Cinetto e dal collega Stefano Corbo. Quella che gli era contestata non era l’occupazione abusiva – di cui tanto si parla – con porte scassinate a forza da parte di chi pretende di avere una casa a tutti i costi.
La sera dell’11 ottobre 2023 Ali Migha era stanco, infreddolito e aveva tanta voglia di riposare. Da altri senzatetto, aveva avuto una dritta e così aveva cercato rifugio in quell’edificio abbandonato, a ridosso del centro, che è l’ex caserma Prandina, un posto dove altri ci avevano messo piede prima di lui. Intorno alle 5.30 del 12 ottobre, però, tre volanti arrivano nell’area con le sirene spiegate e lo sorprendono con altri due sfortunati.
Nessuna reazione da parte di Migha che, agli agenti, chiede solo di poter prendere con sé il proprio zainetto, l’unico bene di proprietà, prima di seguirli in questura per l’identificazione. L’indomani il Comune formalizza la querela attraverso il responsabile del settore Patrimonio e Migha finisce sotto inchiesta per essere poi spedito nel Cpr-Centro per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo, una sorta di limbo in attesa del trasferimento in Tunisia. Un limbo dove ci resterà sei mesi. Sei mesi di vita blindata, come se si trovasse in carcere, prima della liberazione per decorrenza dei termini di fronte all’impossibilità di essere riportato nella terra d’origine dove solo povertà e fame l’avrebbero accolto. Tornato di nuovo invisibile, Migha rimane in Veneto. E torna a Padova perché qui, almeno, un pasto caldo è assicurato tutti i giorni.
Nel frattempo arriva la data del processo. E lui, mercoledì 12 febbraio, si è presentato in aula per dimostrare di non essere un criminale, anche se è naufragato il tentativo di mettersi in regola – con un’istanza di emersione di un rapporto di lavoro che era riuscito a strappare – a causa di una condanna per “violazione delle norme sugli stupefacenti” risalente al giugno 2014 (sei mesi di carcere e 1400 euro di multa).
E, ancora, per raccontare che ha provato e riprovato a regolarizzare la sua posizione. Che è qui da tanti anni e che vorrebbe una vita diversa con un lavoro e un posto decoroso dove vivere. E che quella notte, solo occasionalmente, aveva trovato riparo nell’ex Prandina, senza forzare porte o scassinare finestre.
Il giudice Claudio Elampini lo ha assolto con formula piena, accogliendo l’indicazione sia della pubblica accusa quanto della difesa. «Conosco da tanti anni Ali Migha e sto seguendo il suo caso» spiega l’avvocato Cinetto, «È un buon uomo, una persona mite e tranquilla che è stato pure raggirato sperando di regolarizzarsi. Ogni tanto fa dei lavoretti in campo edile ed è considerato bravo, uno che si impegna».
Difficile, però, trovare un lavoro quando non hai i documenti. E altrettanto difficile cercare di ottenere i documenti senza un lavoro. Ecco perché tanti invisibili rischiano di restare invisibili a vita. E, pur cercando di sfuggire a quel destino, trovano solo porte chiuse in faccia e, ormai, neanche uno spazio sotto un cavalcavia o un ponte come riparo. Un riparo che non è certo degno di quel nome ma, a volte, è l’unico possibile.
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