Padova capitale del volontariato: "Le grandi virtù che possediamo"

PADOVA. “Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro. Non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo. Non l’astuzia, ma la schiettezza e l’amore alla verità. Non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l’abnegazione. Non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere”.
Per ragionare insieme su volontariato e solidarietà - cui Padova, con il Veneto, da capitale europea dedica un anno di riflessione - vi ho proposto un brano tratto dal racconto di Natalia Ginzburg intitolato “Piccole virtù”. A dispetto del titolo, però, la scrittrice torinese non aveva affatto predilezione per le virtù piccole nella semina connessa al passaggio di consegne tra le generazioni. Conclude infatti così Ginzburg: «Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Di solito invece facciamo il contrario: ci affrettiamo a insegnare il rispetto per le piccole virtù, fondando su di esse tutto il nostro sistema educativo”. Insomma, Ginzburg ci sprona a esercitare ambizione e a fare un sano commercio di virtù, a non essere micragnosi con il patrimonio di cui disponiamo.
Partiamo da qui, allora, ossia dal tema delle virtù. Che è letteralmente sparito dal lessico comune. Come se i marinai avessero, per definire la loro rotta, solo scogli, relitti semi-affioranti e secche, senza avere dunque tra i “punti cospicui” di orientamento anche fari, campanili, paesi.
Fuor di metafora: come se il nostro navigare fosse scandito solo da negatività e non avesse nel proprio codice anche le ragioni del vivere civile e, per l’appunto delle virtù. Che non è materia di esclusivo appannaggio della cultura cattolica, basti semplicemente riandare a tanti maestri del pensiero classico greco e latino.
Dovremo osservare, però, che la parola virtù sopravvive ormai quasi solo nell’aggettivo “virtuale”. Che dal campo della vita reale e praticata è transitato nell’area semantica opposta: sta a indicare ciò che non esiste o che al più configura una ipotesi. Una potenzialità tutta da esaminare. Ma anche una sorta di miraggio e di possibile inganno.
Ma la virtù esiste, nei fatti esiste e senza declamazioni e anzi di solito con pudicizia e ritrosia trova una sua reale proiezione appunto nel volontariato e nella solidarietà. Provate a rileggere la rassegna delle Grandi Virtù che Ginzburg allinea e ponetele, una dopo l’altro, accanto alla vostra personale esperienza di bene ricevuto o portato nell’esercizio del volontariato. Quando siamo stati ammalati, noi o i nostri cari in una corsia di ospedale, con i volontari accanto a noi. Quando abbiamo avuto la casa devastata da una alluvione e la Protezione civile è giunta in soccorso. Quando abbiamo riscontrato il valore immenso di qualcuno che ci donava il suo tempo. Un regalo gratis. Gratis. Che è parola sorella di “grazie”.
Grazie allora a chi investe il proprio tempo e le proprie risorse per soccorrere chi ha meno. E il nostro “grazie” potrebbe anche accompagnarci a una ulteriore riflessione sulla nostra identità di veneti.
Anche grazie al fatto - concretissimo e quotidiano - che un veneto su cinque pratica volontariato in prima persona, è tutt’altra rispetto a una vulgata di basso conio e di frequente smercio. Possiamo accettare di essere associati - noi veneti - a una immagine che tiene dentro concetti come egoismo, individualismo, secessionismo? Non dovremmo ragionare su chi siamo, su chi vogliamo essere, su come ci sappiamo raccontare? L’auto-analisi e il racconto di noi può trovare in questa annata incardinata su “Padova, capitale europea del volontariato” una assai favorevole occasione.
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