Zone rosse, Cgil all’attacco: richiesti sforzi straordinari agli agenti

Il giorno dopo la festa della Polizia a Padova, il sindacato lancia una stoccata al provvedimento del prefetto: «Per garantire il controllo della zona rossa agenti distolti da altri uffici delicati»

Edoardo Fioretto
Un presidio della Polizia di Stato in zona stazione
Un presidio della Polizia di Stato in zona stazione

All’indomani delle celebrazioni del 173° anniversario della Polizia di Stato, emerge una realtà nascosta dietro le cifre ufficiali: è il costo umano e organizzativo dei controlli nelle cosiddette “zone rosse”.

Secondo il comunicato della Silp Cgil, il bilancio delle attività svolte tra giugno 2024 e febbraio 2025 evidenzia che, se da una parte gli interventi per mantenere l’ordine pubblico restano prioritari, dall’altra l’impegno richiesto per sorvegliare le zone rosse – concepite per contenere fenomeni di microcriminalità – comporterebbe un notevole sacrificio di risorse e, soprattutto, di uomini e donne in uniforme.

Nel corso dei primi sei mesi di sperimentazione sono state controllate 13.227 persone, portando all'allontanamento di 41 soggetti potenzialmente pericolosi.

Le politiche di controllo straordinario nella zona ad alto impatto (questo il nome tecnico) si concentrano soprattutto nell’area del quartiere della stazione, dove le forze dell’ordine intervengono quotidianamente. I dati raccolti sono il frutto di un’attività sindacale condotta congiuntamente con il sindacato Fsp e reperiti tramite accesso agli atti della Questura: si contano, per esempio, 137 cambi turno retribuiti e 398 servizi di ordine pubblico programmati, mentre specifici interventi vengono effettuati anche dal commissariato Stanga, con 218 servizi esclusivi per i suoi 20 poliziotti.

Questa mole di lavoro richiede agli agenti straordinari sforzi che vanno ben oltre il normale orario. Ad esempio, all’ufficio passaporti, nel mese di luglio 2024, alcuni operatori hanno accumulato oltre duecento ore extra, fondamentali per la stampa e la consegna dei documenti. La situazione si aggrava ulteriormente in ambiti quali la Divisione Pasi, dove ben trenta operatori si trovano costretti a suddividersi su migliaia di impegni che, in definitiva, rischiano di compromettere la qualità della vita extralavorativa degli agenti.

Non solo. Sottolinea il sindacato: «Per garantire il controllo della zona rossa, tralasciando episodi quali le sanzioni ai senzatetto, che certamente poco hanno a che fare con lo spaccio o le aggressioni o risse, vengono “distolti” dai propri compiti, agenti da uffici delicati per la tipologia del compito. Pensiamo all’Anticrimine, competente per i codici rossi, i daspo, i provvedimenti antimafia ed altro», si legge sul comunicato.

Il problema, come riportato dal sindacato, è duplice. Da un lato, la necessità ineludibile di garantire un servizio di ordine pubblico in ogni circostanza, dalle manifestazioni ai consueti controlli di routine; dall’altro, l’eccessivo impiego di personale nelle zone rosse, il cui carico di lavoro viene ulteriormente accentuato dai controlli "spot" su beni e soggetti, che di regola dovrebbero essere di natura d’ordine più ordinaria. Le cifre parlano chiaro: oltre 1.367 interventi dell’Ufficio Volanti e numerosi servizi supplementari restano l’unico appiglio per fronteggiare una criminalità che, rileva il sindacato Silp Cgil, si è gradualmente spostata in aree “verdi”, lasciando i reparti di controllo più impegnati e sempre più affaticati.

Il sindacato denuncia una condizione insostenibile: le ore extra, pagate solo pochi centesimi in più dell’ordinario – circa sette euro netti – vengono erogate anche con ritardi che possono arrivare fino a un anno e mezzo, compromettendo la vita privata e la salute degli agenti. Per molti, la “zona rossa” è diventata sinonimo di sacrificio quotidiano, un’area in cui il dovere di garantire sicurezza si traduce in un costo umano elevato.

La speranza, secondo Silp Cgil, è che il Governo e le autorità competenti riescano finalmente a riconoscere l’inutilità di interventi mediatici isolati e a sostituire le politiche reattive con strategie pianificate e “chirurgiche”, in grado di gestire le risorse umane in modo «razionale» e di tutelare non solo la sicurezza dei cittadini, ma anche quella degli operatori. «Se ciò non accadrà», conclude il sindacato, «il 10 aprile 2026 rischia di diventare la data in cui non si celebrerà la sicurezza, ma si assisterà al tragico declino della salute e del benessere di chi ogni giorno si impegna per proteggerla».

 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova