Padova, la scomparsa degli antiquari dal ghetto

PADOVA. C’è stato un tempo, fino ad una ventina d’anni fa, in cui il ghetto di Padova era la patria degli antiquari: autentiche gallerie d’arte antica che si concentravano soprattutto nel centro storico, e in particolare nelle viuzze che si dipanano intorno alla sinagoga.«Forse eravamo fin troppi» ammette qualcuno, ma il dato di fatto è che, a distanza di un paio di decenni, non è rimasto più quasi nessuno. I superstiti si contano quasi sulle dita di una mano: Kalos antichità (via del Soncin), Baldi e Bucceri (entrambi in Galleria Duomo), Pfl Antichità (via dei Fabbri), La Nuova Arcadia in via San Martino e Solferino. E poi rimane la storica galleria Cesaro (sempre in via San Martino e Solferino), dove i figli Alberto e Carlo portano orgogliosamente avanti il lavoro dei genitori. «La nostra famiglia» spiegano «ha iniziato ad operare nel mondo dell’antiquariato negli anni sessanta, specializzandosi nella pittura dell’Ottocento e Novecento. Noi portiamo avanti l’attività, mantenendo la vocazione originale».

Sono un esempio raro, perché, nella maggior parte dei casi, se le botteghe hanno chiuso è stato proprio per volontà dei figli: «non si può dire che gli affari vadano male» spiega Nicola Rossi, direttore artistico della mostra-mercato “Antiquaria Padova”, che quest’anno ha raggiunto la 34esima edizione «perché il pubblico che ama l’antiquariato è una nicchia selezionata, disposta a viaggiare e spendere molto, per portare a casa ciò che cerca. Ma è un mestiere che si fa per passione: gli antiquari girano l’Europa tra aste internazionali e vendite private. Ci vuole dedizione, e capita che non si tramandi di generazione in generazione. Anche perché il gusto è cambiato: i giovani amano il moderno, l’antico è scomparso da ogni rivista d’arredamento. Invece un po’ di anni fa era quasi impensabile una casa senza un tocco d’antico».E così, uno dei mestieri più antichi del mondo (pare che esistesse già nel Medioevo) sembra lentamente destinato all’estinzione. Nel centro città, fuori dal Ghetto, rimane qualche altro pilastro: in via Zabarella, ad esempio, resistono Mason, Gomiero (dove Dario Fo comprava le maschere di Amleto Sartori) e Idee nel tempo. E poi c’è chi, visto l’andamento del mercato, ha deciso di chiudere la bottega senza rinunciare alla professione. “Idee nel tempo” apre solo su prenotazione, e addirittura Maurizio Belluco, dopo quarant’anni di attività (di cui svariati in Ghetto), ha deciso di portarsi la galleria in casa, in via Galilei. «Ho ricavato lo spazio espositivo da una sorta di magazzino» spiega «e naturalmente apro solo su prenotazione. È una scelta dettata dal mercato che si evolve: io, come molti colleghi, ho scelto di cambiare modo di lavorare, senza chiudere. Oggi trovare merce è più facile che in passato: giriamo tra le vendite private di chi, per eredità o gusto, ha messo in vendita alcuni pezzi, oppure tra le case d’asta, che ora sono un po’ in crisi. Certo, gli oggetti di valore sono sempre difficili da trovare».
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