Tito Livio in crisi, la difesa degli ex alunni: «Un liceo che ti apre la mente sul mondo»

Calano le iscrizioni, ma chi l’ha frequentato lo sceglierebbe ancora: «È una palestra politica, docenti come mentori». Le testimonianze di Volpin, Bonollo, Folena, Cera

Edoardo Fioretto
L’ingresso del liceo classico Tito Livio (foto Bianchi)
L’ingresso del liceo classico Tito Livio (foto Bianchi)

Chissà quanto avrebbe dato Renzo Tramaglino per sapere il latinorum, e poter così replicare nella lingua colta agli appigli di Don Abbondio, che per non rischiare la testa provò così ad astenersi dal maritarlo con Lucia. Ma non è più il XVII secolo, e conoscere oggi il latino difficilmente salverebbe da situazioni fuori dall’ordinario, men che meno da momenti della quotidianità. Non si parli allora del greco antico, utile – si far per dire – solo a leggere le tragedie di Eschilo, Sofocle o Euripide in lingua originale.

Al liceo Tito Livio di Padova solo 4 prime: «Drastico calo delle iscrizioni»
L'ingresso del liceo Tito Livio di Padova

E perché allora uno studente nel 2025 si dovrebbe iscrivere a un liceo classico? Evidentemente più di qualcuno deve aver pensato che le ore in matematica e fisica siano più adatte ai problemi della contemporaneità, visto che il prossimo anno scolastico le sezioni prime del Tito Livio scenderanno per la prima volta a quattro. Poco interesse, pochi iscritti.

Ma una risposta diversa, una riflessione, arriva dagli studenti che per quelle aule ci sono già passati. Titini che di quel quinquennio hanno un ricordo chiaro e nitido. E tutti, ma proprio tutti, sono pronti a ribadire: «Tornassi indietro nel tempo, sceglierei sempre il Tito».

Due ingegneri dal classico

Sono ex compagni di classe, la maturità nel non-tanto-lontano 1981.

Il primo si presenta così: «Dopo il Tito ho studiato Ingegneria a Padova, poi il master alla Bocconi... tutt’altro che il percorso naturale che ci si immaginerebbe con alle spalle una maturità classica», spiega Antonio Volpin, ingegnere e, appunto, studente nell’albo dei Titini.

Una lista che annovera: Pier Fortunato Calvi, Alberto Cavalletto, e anche il due volte presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Anche Volpin ha un percorso di successo: «Alla fine – dirò il mio parere da ignorante – ma penso che a fare la differenza in una scuola siano la qualità dei professori e dell’istruzione. In questo il Tito ha sempre eccelso. Se l’ambiente di studio è stimolante, alla fine non importa l’indirizzo del liceo», sostiene l’ingegnere, per 32 anni nella McKinsley & Co., una delle più grandi società di consulenze strategiche. Del greco antico ha invece fatto tesoro.

«Mi è servito quando sono stato per lavoro in Grecia, mi ha dato l’assist per imparare più in fretta la lingua», osserva.

Stessa aula, qualche banco più in là, nel 1981 si sarebbe trovato anche Franco Bonollo, laureato in Ingegneria chimica e oggi professore ordinario al Dipartimenti di Tecnica dei sistemi industriali. Non esattamente un percorso da classico, gli si chiede: «No infatti, ma almeno cinque miei compagni di classe al Tito sono finiti a studiare Ingegneria. Ci sono pure alcuni medici, come Giuliano Testa che oggi è uno dei professionisti più stimati del mondo», racconta il docente. «Bisogna riflettere che i tempi sono diversi, una volta c’era anche meno scelta. Ma comunque il classico è sempre stato il liceo che ti apriva di più le prospettive sul mondo». Per esempio? «Anche grazie alla filosofia sono riuscito a comprendere meglio certi passaggi logici di materie scientifiche», risponde Bonollo.

E se potessero tornare indietro nel tempo? «Ovviamente sceglierei di nuovo il Tito Livio», affermano concordi i due ingegneri.

«Occupammo per due giorni»

C’è chi poi elogia gli anni del Tito per i meriti nell’aprire le menti al mondo della politica. Anni ’70, la città è divisa tra neri e rossi.

Seduto sui banchi del liceo del centro c’è anche Pietro Folena, futuro segretario provinciale del Pci e deputato di sinistra tra il 1987 e il 2008. «Il Tito Livio in quegli anni è stata una palestra politica», racconta Folena. «Era un periodo in cui nei corridoi si respiravano arie di forze moderate, con un’influenza dell’estrema destra derivante dalla vicinanza a via Zabarella (al tempo lì si trovava la sede dell’Msi, ndr). Fu negli anni in cui frequentavo io che si riuscì a portare un po’ di sinistra anche dentro al Tito», aggiunge con una leggera vena di orgoglio nella voce, «e riuscimmo – cosa inaudita per quei tempi – a organizzare un’occupazione di due giorni. Cosa mi manca del Tito? I professori, che sono stati anche mentori, come Ettore Luccini».

Sul rifare la maturità non ha dubbi, seppur a modo suo: «Sì, ma piuttosto che una macchina per ringiovanirmi e tornare sui banchi oggi, ne vorrei una per tornare indietro agli anni ’70».

Avvocata e assessora

Dal Tito a Palazzo Moroni sono appena pochi passi, facciamo trecento se son tanti. Ma tutt’altro che facili se l’obiettivo è quello di entrarci da consigliere eletto.

«Il Tito mi ha formata per diventare la persona che sono oggi», sostiene l’assessora e avvocata Margherita Cera. «Se potessi tornare indietro nel tempo», prosegue, «io non solo sceglierei sempre il Tito, ma mi impegnerei di più in greco antico. Se non studi lì le grandi tragedie classiche, non lo rifai in tutto il resto della vita. Sento di avere perso un’occasione».

E sulla fuga di studenti dal classico cosa ne pensa? «Vedo che c’è un po’ di stem-mania in questo periodo, i ragazzi scelgono materie scientifiche perché credono li aiutino a introdursi ai corsi di laurea. La verità è che dal classico, e il Tito Livio è il migliore, hai un insieme di cultura generale, pensiero critico e un orientamento interdisciplicane che non trovi altrove. E questi», conclude, «ti preparano più di qualunque altra cosa ad affrontare ogni sfida».

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