Padova Tre, indagini chiuse: in dieci verso il processo

Borile, Chinaglia e Tromboni accusati di aver gonfiato le bollette di 15 milioni
Este (PD), 25.02.2016 ph. Zangirolami. Sede Consorzio Padova Sud-Padova Tre in via Rovigo 69. Nella foto:
Este (PD), 25.02.2016 ph. Zangirolami. Sede Consorzio Padova Sud-Padova Tre in via Rovigo 69. Nella foto:
ESTE. Sono state ufficialmente chiuse le indagini preliminari per i dieci indagati coinvolti nel crac di Padova Tre srl: le accuse, a vario titolo, sono di falso in atti pubblici, frode, peculato, false fatture e false comunicazioni sociali. Il procuratore di Rovigo Carmelo Ruberto, rimasto orfano del pm Davide Nalin (sospeso per il coinvolgimento nello scandalo della scuola di formazione per magistrati diretta dal consigliere di Stato Francesco Bellomo, destituito) con cui coordinava le indagini sulla multiutility dei rifiuti, ha firmato il 18 gennaio l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico di Simone Borile, Stefano Chinaglia, Stefano Tromboni, Gaetano Battocchio, Giampaolo Mastellaro, Egidio Vanzetto, Alcide Nicchio, Angelo Donato, Gianmarco Rando e Patrizia Bazzi. Ora gli imputati hanno venti giorni di tempo per presentare memorie o depositare documenti relativi a investigazioni difensive o farsi interrogare, dopodiché verrà richiesto il rinvio a giudizio. Se ci sarà un processo e a carico di chi, lo deciderà il giudice in udienza preliminare.


Dopo due anni da quando è stato scoperchiato il pentolone in cui ribollivano i presunti illeciti legati alla gestione del servizio rifiuti nella Bassa padovana e nel Piovese, per altro in capo a una società interamente pubblica e di proprietà dei Comuni - controllata dal Consorzio Padova Sud - finalmente si cristallizzano le posizioni. Quelle di chi avrebbe gonfiato le bollette a carico dei cittadini per 15 milioni di euro, di chi avrebbe trattenuto nelle casse di una società in grave crisi finanziaria i soldi dovuti a un ente pubblico (la Provincia di Padova), di chi avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti per ingrossare le casse delle coop amiche, di chi avrebbe certificato bilanci in cui la voragine dei debiti veniva mascherata per non perdere la concessione del servizio che garantiva introiti per 17 milioni l’anno.


Borile, Chinaglia e Tromboni sono accusati di falso materiale commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e frode in pubbliche forniture: «Formavano falsamente i Piani economico finanziari per gli anni 2013, 2014 e 2015 presentati ai Comuni indicando nella voce “entrate” importi inferiori rispetto a quelli poi riscossi (...) con modalità tali da non permettere agli enti locali di individuare la falsità dei dati e così traendo in inganno i Consigli comunali che li approvavano». L’operazione avrebbe consentito incassi illeciti per quasi 15 milioni di euro in tre anni, soldi di cui si è persa traccia. A denunciare le irregolarità sui Pef è stato il sindaco di Piove di Sacco Davide Gianella che per primo ha presentato alla guardia di finanza un esposto in cui evidenziava l’applicazione di aliquote sballate sul calcolo della Tari. Un secondo esposto basato sui medesimi rilievi è stato poi presentato dal Comune di Polverara. A Borile e Chinaglia viene contestato anche il peculato perché non hanno versato alla Provincia di Padova il 5% della Tari dovuta per il Tributo ambientale provinciale (Tap) per un importo di oltre 3 milioni di euro.


Gaetano Battocchio e Giampaolo Mastellaro, il primo amministratore della coop Ecos, già Ecofficina e presidente di Edeco, il secondo amministratore e rappresentante legale di Ecofficina, sono accusati di aver emesso a carico di Padova Tre fatture per operazioni inesistenti per oltre 300 mila euro. False fatture per 150 mila euro sono attribuite anche a Tre Energia, partecipata di Padova Tre. C’è infine la partita che coinvolge il collegio sindacale di Padova Tre, ovvero i revisori dei conti: per tutti loro l’accusa è di false comunicazioni sociali. Il procuratore Ruberto chiama in causa la governance di Padova Tre, allora composta da Borile, Chinaglia e Egidio Vanzetto, e i revisori Alcide Nicchio, Angelo Donato, Gianmarco Rando e Patrizia Bazzi. In sostanza, per non perdere la concessione del servizio che richiede l’equilibrio economico-finanziario, erano state contabilizzate nei bilanci 2012, 2013, 2014 “fatture da emettere” per 2,9 milioni, 2,3 milioni e 10,3 milioni non rispondenti al vero e finalizzate a nascondere le perdite. Quei soldi, insomma, non sarebbero mai arrivati e così infatti è stato. E Padova Tre si è ritrovata con la sua voragine nei conti che lo scorso ottobre l’ha portata al fallimento.


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