Papiri di laurea: tre secoli di goliardia a Padova
PADOVA. “Patavina Libertas”, la mostra dei papiri di laurea, sarà inaugurata il 5 aprile e resterà aperta fino al 27 luglio al Centro Culturale San Gaetano di Padova, ma strariperà anche in altri luoghi in città di forte tradizione universitaria: al Pedrocchi e al palazzo del Bo. Centotrenta i pezzi in mostra, frutto di una selezione di quasi 16 mila papiri catalogati e digitalizzati, dal XVII secolo ai giorni nostri. A monte ci sono quattro anni di lavoro (uno stagista informatico si fa un mazzo come una casa assistito da un comitato scientifico di cui fanno parte storici, specialisti, docenti, tutti goliardi d’antan). L’assessore alla Cultura del Comune di Padova, Andrea Colasio, attraverso Maurizio Motta direttore della Cedam, scopre nella sede della casa editrice una raccolta favolosa. Nel frattempo però la proprietà viene assunta dalla Wolters Kluwer Italia Srl che mette a disposizione del Comune, in comodato d’uso gratuito, i papiri. L’assessore che si è dotato di uno scanner planetario, può cominciare il lavoro di digitalizzazione. Lavoro immane perché i papiri si trovano anche in altri giacimenti: all’Universitaria, in Ateneo, nella raccolta di un archivista di eccezione, Marietto del bar del Bo, che ha scollato dai muri centinaia di manifesti di laurea.
L’intero patrimonio papiresco dovrebbe raggiungere i trentamila pezzi e quindi il lavoro di recupero continua. L’evento-papiri che copre 200 anni di storia della città è testimone del cambiamento di costume, di gusto estetico, di stile, di sentire. La mostra è un tuffo nel passato, un recupero di memoria e di identità e nello stesso tempo una grande operazione di archeologia del sapere.
Il primo papiro della storia, 1678, forse è quello della prima donna laureata, Elena Cornaro Piscopia, che appare più grassoccia e carina che in altre immagini che la mostrano consunta dallo studio e dalla sofferenza del competere, ma trovi anche figure di spicco della cultura e della società civile italiana, dal linguista Niccolò Tommaseo a Guido Carli, che governerà la Banca d’Italia, da Cesare Musatti, pioniere della psicanalisi, al ministro Guido Gonella, all’editore Ugo Mursia, al sociologo e giornalista Sabino Acquaviva, a Antonio Keller, professore di Agraria e prefetto dell’Orto Botanico. Ma forse anche, spinto da curiosità, puoi pescare il papiro del nonno.
I papiri più antichi sono epigrafici e un tantino sinistri, cimiteriali, bisogna aspettare degli anni perché siano ravvivati dalla vèrve dell’ironia e riscaldati dal fuoco della satira. Questo dei papiri è un fenomeno tutto padovano e va a capire che cosa abbia scatenato il Big Bang, è un po’ come la Mensur tedesca, anche se molto più simpatico, non esiste in nessuna altra università del mondo. All’inizio è comunque prodotto elitario come elitaria è l’università ante ’68; si celebrano le famiglie importanti, si festeggia la laurea di un rampollo che conta nella nomenclatura veneta.
Il professor Mario Isnenghi e Virginia Baradel descrivono comunque il contesto del fenomeno. Sul finire dell’Ottocento c’è tutta una fioritura di riviste comico-satiriche e di illustratori geniali. Nascono “l’Italia che ride” e “Lo studente di Padova” di Primo Sinopico che alto e allampanato si ritrae con la schiena curva e le scarpe fuori scala. C’è anche una preziosa parentesi futurista con Dormal, seguace di Marinetti e una freschezza fumettistica nei papiri di Enrico Schiavinato (Rico). Si improvvisa papirista, lo fa solo per gli amici, anche un artista come Donato Sartori e anche il padre Amleto aveva disegnato papiri, così Vittorio Dal Piaz e il popolare animatore della Vitaliano Lenguazza, il medico Carlo Barotti.
Gli anni Settanta comportano un mutamento dei costumi sociali, esplode l’università di massa con l’aumento esponenziale delle iscrizioni ai corsi di laurea, scompare la tradizione del papiro d’autore. Un’eccezione: Carlo Sartori di Borgoricco che dal 1973 agli anni ’80 ha creato un vero e proprio laboratorio grafico e goliardico.
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