Parlare l’inglese “fluently” Un sogno diventato business

Compie 26 anni l’intuizione dell’English International School di Padova
Di Cristina Genesin
GENESIN - INTERVISTA DELLA DOMENICA ALLA ENGLISH SHOOL
GENESIN - INTERVISTA DELLA DOMENICA ALLA ENGLISH SHOOL

Da anni è al timone di un’azienda, una delle prime in Italia nel suo settore. Un settore del tutto particolare: la formazione e l’educazione. Ovvero una scuola - certo, privata e a pagamento - nata da un’intuizione geniale partorita ben 26 anni fa dal marito, il professor Lucio Rossi, e da lei, la moglie, Rossella Gilli. Una scuola rivolta ai bambini e ai ragazzi che, pur non essendo figli di genitori di madrelingua inglese, possono imparare quella lingua alla perfezione (o quasi). Come? Frequentando lezioni svolte in inglese da insegnanti inglesi.

È l’English International School of Padua con quartiere generale in via Forcellini, 800 allievi dai 5 ai 18 anni e 150 dipendenti tra personale docente, amministrativo e collaboratori con varie mansioni. Bastano i numeri a svelare le tappe di un successo professionale nelle mani di una manager donna.

Signora Gilli, tra poco è l’8 marzo, giornata della donna, data in cui si fa il punto su conquiste e traguardi ancora da raggiungere. Quanto è difficile oggi per una donna essere al vertice di un’azienda?

«Devo riconoscere che l’uomo tende a fare il più forte e a schiacciare: me ne rendo conto nei rapporti con professionisti e fornitori. Forse è una legge della natura e, di sicuro, non tutti gli uomini sono uguali. Comunque, nella mia azienda sono rigida e severa e non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno. Tuttavia spesso non è facile lavorare neppure con le donne, soprattutto con quelle delle generazioni più vecchie, dotate di una forte competitività. Trovo che le giovani generazioni femminili siano più solidali fra loro e cerchino sempre di imparare».

Al di là delle problematiche legate ai rapporti, è più complesso fare impresa per una donna, magari con famiglia?

«Con il lavoro non si finisce mai: si inizia la mattina presto e si conclude la sera tardi. E la testa è sempre concentrata, pure di notte. Si è proiettati al domani e sono ritagli gli spazi dedicati a se stessi. Ecco perchè diventa difficile gestire il proprio tempo libero. Figuriamo la famiglia, specie per una donna. Peraltro non bisogna mai trascurarsi come persona per essere sempre presentabili. Non ci si può permettere di sbagliare neanche il vestito che dà la tua immagine. È dura, ma lo si fa con soddisfazione».

The English International School of Padua è nata da un’intuizione?

«Negli anni ’80 c’erano pochissime scuole internazionali in Italia: a Roma e a Milano e una piccola nel centro storico di Venezia che, anni fa, ha chiuso. L’idea geniale è stata quella di creare a Padova una scuola per insegnare l’inglese fluent come lo parla e scrive una persona di madrelingua, pur senza la fortuna di avere genitori anglofoni. Mio marito e io avevamo un figlio in età scolare e volevamo regalargli la possibilità di un futuro con più ampie chance sia professionali che sociali. Avevamo una consapevolezza: quando si parla bene un’altra lingua, si acquisisce una mentalità più aperta e si è più disponibili a confrontarsi con altre culture. Non solo: nel mondo lavorativo l’opportunità che ti offre l’ottima conoscenza di una lingua, in particolare l’inglese, la spendi bene. E lo riscontriamo con i nostri studenti».

Immagino che, all’inizio, non sia stato facile...

«Fu mio marito, il professor Lucio Rossi, ad avere l’intuizione della scuola. Si era laureato in lingua e letteratura inglese a Venezia e aveva trascorso sei mesi negli Usa specializzandosi nell’insegnamento dell’inglese per le persone sorde. Era un uomo pieno di idee. Credo che nel matrimonio bisogna sempre cercare di andare d’accordo: noi abbiamo condiviso tutto, anche questo progetto che lui aveva maturato».

In che anno?

«Era il 1986. Nel settembre del 1987 abbiamo inaugurato il primo anno scolastico della primina, secondo il modulo organizzativo anglosassone, in un locale affittato nella scuola materna “Regina Elena” in via Savonarola. Dove abbiamo trovato i soldi? I nostri risparmi e i nostri stipendi visto che lavoravamo tutti e due. In classe c’erano 5 studenti, tra cui nostro figlio Giulio, affidati alla maestra inglese Penny Kenway che, anni dopo, è tornata in inghilterra, si è sposata ed è mamma ma siamo rimaste in amicizia».

Sarà stata dura...

«Con le rette abbiamo cominciato a pagare personale e affitto. Anno dopo anno si sono aggiunge nuove classi fino al completamento del ciclo di istruzione primaria. Nel 1989 ci siamo trasferiti in via Adria, nel patronato don Bosco, e nel ’94 abbiamo avviato la scuola media, nel ’95 la materna. Quindi ci siamo spostati in alcuni locali del collegio Barbarigo, in via Rogati».

Il salto di qualità?

«Nel 1996 quando mio marito e io ci siamo presentati in banca per ottenere un finanziamento destinato all’edificazione del primo istituto in via Forcellini 168. Che ha aperto l’anno successivo».

E i docenti?

«Allora, come oggi, li reclutiamo direttamente in Gran Bretagna attraverso un annuncio su un giornale specializzato, che ora è un sito, il Times Educational Supplement. Chi è interessato invia il curriculum, c’è la selezione, poi un colloquio e infine l’eventuale assunzione».

Intanto la scuola è cresciuta...

«Nel 2004 il Miur (Ministero istruzione, università e ricerca) ci ha autorizzati a preparare gli studenti al diploma International baccalaureate e nel 2006 abbiamo costruito il secondo edificio che ospita le medie e le superiori, a due passi da quello esistente. Nonostante la crisi, le richieste di iscrizione sono in aumento tanto da dover organizzare dei test per selezionare gli aspiranti studenti».

Che lavoro facevate lei e suo marito prima di avviare l’International School?

«Mio marito era insegnante al Magarotto, io lavoravo all’università come bibliotecaria per 15 anni, poi nell’Ufficio relazioni internazionali al Bo. Direi che il lavoro nell’ateneo è stata una scuola di formazione, consentendomi non solo di esercitare l’inglese ma anche di imparare e correggere alcune strategie aziendali.

In più, mi trovavo in un ambiente culturalmente stimolante».

Avete creato un’impresa dal nulla. Come è stato possibile?

«La magia è stata nell’aver coniugato convinzione e coraggio, senza i quali non saremmo mai riusciti a realizzare nulla. Tanto più una scuola, impresa davvero particolare visto che produce istruzione e cultura. Certo bisogna metterci tanto entusiasmo. Quello non mi manca nemmeno oggi».

E oggi porta avanti da sola la scuola...

«Nel 2007 è mancato mio marito. Ho tirato fuori la forza della responsabilità. Non puoi dire: ora sono vedova e chiudo tutto. Nutrivo rispetto per il progetto creato insieme a lui con il desiderio di dargli continuità. E nutrivo pure rispetto per gli studenti, per le famiglie che hanno creduto nella scuola e per i collaboratori che mi sono stati vicini e mi hanno aiutato moltissimo in momenti difficili. Ecco perché i successi raggiunti non sono mai il merito di uno solo, ma di tutto lo staff».

C’è anche suo figlio con lei?

«Giulio, che ha 29 anni, si è laureato in Statistica a Padova e in Scienze Umane in Olanda, poi ha fatto alcune esperienze all’estero. Adesso lavoriamo insieme: il suo ruolo è di school administration manager e responsabile delle nuove tecnologie. Un settore importante quest’ultimo: qualsiasi azienda deve essere all’avanguardia con gli strumenti tecnologici. E ciò vale per una scuola nell’offerta formativa e didattica. Bisogna sempre dare qualcosa di nuovo, sia pure in termini culturali.

Ecco perché abbiamo siglato una convenzione con l’Università per avviare un corso di cinese, già decollato».

C’è differenza nel fare impresa tra uomini e donne?

«Credo che una donna manager sia più attenta nel curare gli aspetti relazionali, gratificando le professionalità dei collaboratori che la circondano. È la carta vincente per ogni azienda».

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