Peculato, assoluzione per il prof Ambrosini grazie alla prescrizione

Può dormire sonni tranquilli il professor Guido Ambrosini, il ginecologo 51enne docente all’università che nel settembre 2010 era stato allontanato dalla direzione del centro di Procreazione medicalmente assistita (Pma) ed era finito a processo per il reato di peculato. L’accusa? Avere consentito a una paziente di beneficiare del percorso di fecondazione assistita (effettuata con tecnica Icsi in più cicli) grazie al Servizio sanitario nazionale pagando solo il prezzo del ticket, 36,15 euro anziché il costo della prestazione (tutt’altro che alla portata di tutti) di 700 euro. Dopo la reintegrazione del giudice del lavoro, ora è arrivata la sentenza del tribunale di Padova che ha assolto il medico sia pure per intervenuta prescrizione. Ovvero è decorso troppo tempo e l’azione penale, per quel reato, non può più essere esercitata «non ricorrendo i presupposti» si legge nella sentenza «per un proscioglimento nel merito». Insomma senza entrare nel merito del caso, processo chiuso con nessuna responsabilità penale, proprio perché il termine della prescrizione è scattato. L’episodio contestato al professor Ambrosini (difeso dall’avvocato Michele Camnolese) si riferiva a un’unica paziente che aveva ultimato il trattamento il 24 maggio 2010 e aveva saldato il ticket il 20 gennaio 2011.Una circolare emessa dalla direzione sanitaria dell'Azienda ospedaliera imponeva il pagamento della fecondazione. Circa 700 prestazioni sarebbero state erogate dal 2003 al 2010 dal Centro di procreazione guidato (allora) dal professor Guido Ambrosini dietro semplice pagamento del ticket, con ricaduta del costo della prestazione sull'Azienda sanitaria. Tra il medico e l'Azienda si era instaurato un vero e proprio braccio di ferro per il mancato incasso di centinaia di prestazioni di procreazione assistita effettuate. Un ammanco poi ridimensionato ma richiesto dall'Azienda alle pazienti, salvo poi fare marcia indietro, visto che le donne si sono ritrovate vittime di questa vicenda. —
Cristina Genesin
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