Pedro, da 30 anni contro «Il nemico è il populismo»

Tutto iniziò l’11 ottobre 1987 con l’occupazione del deposito Agip di via Ticino «I grandi cambiamenti sono generati da gente che alza la testa e dice “basta”»
Trent’anni sono passati da quando il seme della disobbedienza è stato piantato. Sul terreno del vecchio deposito Agip di via Ticino c’erano solo siringhe, sporcizia e abbandono. Era l’11 ottobre 1987. Un gruppo di ribelli e sognatori non ha smesso un attimo di coccolare l’arbusto nato dal quel seme, al punto che ora il fusto si è fatto largo e sotto quelle fronde hanno trovato riparo tantissime persone. Senzatetto, senza lavoro, gli ultimi degli ultimi. Quelli che nessuno vuole, quelli che si fa prima a fingere di non vedere. Per il primo centro sociale di Padova scelsero il nome Pedro, in memoria di Pietro Maria Walter Greco, insegnante di autonomia operaia ucciso dalla polizia. C’erano
Oficial
,
Bim Bum Bam
,
Pino
e l’
Omino del microfono
(questi i loro soprannomi). Oggi hanno quasi sessant’anni, sono padri di famiglia e hanno un sacco di cose da raccontare. «Chi ce l’ha fatto fare? L’amore per l’umanità. Come si può vivere in un mondo dove tutti intorno sono tristi e disperati? Noi vogliamo far tornare il sorriso a chi non sta bene». Gianni Boetto c’era quel fine settimana di inizio ottobre: venerdì 9, sabato 10 e domenica 11. Era stata pensata come una tre giorni di festa ma alla fine, euforici per tutto il calore che la gente gli aveva dimostrato, decisero che non se ne sarebbero andati più. Gianni Boetto, Wilma Mazza, un giovanissimo Luca Casarini e tutti intorno gli altri. Un gruppo dove ancora oggi la parola “noi” vale molto più di “io”.


«Questo che stiamo vivendo è senza dubbio il periodo peggiore. L’ondata di odio e populismo che avvelena la società ci sta mettendo in difficoltà ma il Pedro c’è e continuerà a essere tramandato di generazione in generazione», dice fiero Enrico Zulian, che detesta la parola “leader” e anche “portavoce” ma che, tanto per capirci, ricopre il posto che fu di Luca Casarini e Max Gallob.


La fondazione giunse in un periodo di forte fermento. Si era appena placato il vento dell’inchiesta di Calogero che generò il blitz del 7 aprile 1979 contro Autonomia operaia, un anno prima (nel 1986) era esplosa la centrale nucleare di Chernobyl e in molte parti d’Italia il movimento diede il via all’esperienza delle occupazioni degli spazi abbandonati. Virus e Leoncavallo a Milano. El Paso a Torino. Forte Prenestino a Roma. E Pedro a Padova.


«Qua intorno c’erano solo puttane e tossicodipendenti. Venivano a bucarsi in questo vecchio deposito in disuso e la gente del posto non ne poteva più. Credo che la nostra sia stata la prima operazione anti-degrado» ricorda Boetto, combattente di razza, sempre pronto a pagare il massimo per difendere ciò che di più prezioso ha. Le idee.


Sfogliano l’album delle foto nella saletta ricavata tra il reparto pizzeria e lo stanzone per i concerti, ricordano quando c’erano solo strutture in legno e nylon. E quattro stufe per riscaldare l’ambiente nei mesi invernali. Il palco era alto solo 3 centimetri ma su quella piccola piattaforma alla stessa altezza degli spettatori si alternarono gruppi del calibro dei Marlene Kunz, 99 Posse, Casino Royale e Africa Unite. Erano gli anni del punk. «Ma noi non eravamo lì solo per ascoltare musica ai concerti» sorride Boetto. «E così dopo soli due mesi c’era già la Digos qui dentro a perquisirci. Volevano farmi firmare il mandato di perquisizione ma io mi rifiutai. Qui non c’è niente di mio, dissi. Questo spazio appartiene a tutta la città».


La storia di un centro sociale è scandita anche dai volantini che di volta in volta vengono diffusi per promuovere le iniziative. Ce n’è uno che i ragazzi (tendono a definirsi così anche se l’anagrafe dice altro) conservano con particolare gelosia. «Eccolo qua, è quello delle tre occupazioni del 1989. Riuscimmo a sistemare 50 marocchini all’hotel Paradiso di via Tommaseo, 80 nigeriani al Configliachi e 70 tunisini in un palazzo disabitato di via Rezzonico. Fu qualcosa di storico. Gestire tre occupazioni fu faticosissimo, nessuno di noi andò in vacanza quell’estate». Antagonisti. Spesso li chiamano così. L’antagonista viene definito dal vocabolario come un “personaggio in conflitto con il protagonista”. E se c’è un filo comune in questi trent’anni del centro sociale Pedro, è la costante azione di contrasto a tutti coloro quelli che sono assurti al ruolo di protagonisti nella gestione della città. Questo significa anche scontri con la polizia, denunce, arresti. Ma risultare popolari all’opinione pubblica non è mai stato un loro desiderio. Boetto e compagni lottarono per sistemare decine di famiglie nomadi, fecero addirittura una contro-inchiesta dopo l’assassinio dello zingarello undicenne Tarzan Sulic all’interno della caserma dei carabinieri di Ponte di Brenta. «I grandi cambiamenti del mondo sono generati da gente che alza la testa e dice “basta”. Questo abbiamo fatto, ogni volta che lo abbiamo ritenuto giusto. E siamo ancora qui».


e.ferro@mattinopadova.it


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