Per Pietro l’eretico il rogo dopo la morte

Nessuno è profeta in patria, in tutti i tempi. Lo impara a proprie spese Pietro d’Abano, grande filosofo, medico e astrologo, classe 1250, originario della cittadina termale da cui prende il nome....

Nessuno è profeta in patria, in tutti i tempi. Lo impara a proprie spese Pietro d’Abano, grande filosofo, medico e astrologo, classe 1250, originario della cittadina termale da cui prende il nome. Per ottenere i riconoscimenti che merita è costretto ad andarsene all’estero: deve ottenere una cattedra di filosofia, medicina e astrologia alla prestigiosa Sorbona di Parigi, prima di essere chiamato a insegnare in casa sua, a Padova, nel 1306. Ma siccome all’epoca pestare i piedi alla Chiesa conta, al punto che si rischia di finire arrosto, a dispetto della già prestigiosa carriera accademica Pietro non riesce ad affrancarsi da un sospetto di eresia che gli vale una serie di processi, alimentati da un groviglio di dicerìe messe in giro ad arte per screditare i migliori. Di lui si insinua addirittura che abbia appreso le sette arti liberali da altrettanti spiriti da egli stesso rinchiusi in un’ampolla di cristallo, e che sia capace di far tornare nella sua borsa il denaro già speso.

La realtà è ovviamente molto meno truce. Pietro ha soggiornato a lungo a Costantinopoli, dove ha studiato in lingua originale i testi di Galeno e Avicenna, e ha approfondito altre due discipline, l’astrologia e l’alchimia, a suo avviso strettamente correlate alla medicina. Teorizza questa interdisciplinarietà nel “Conciliator controversiarum quae inter philosophos et medicos versantur”, in cui si sforza di tenere insieme medicina e filosofia, ed espone anche una serie di nozioni di anatomia. A lui spetta inoltre il merito di aver fatto conoscere l’averroismo (dottrina che si rifà ad Aristotele seguendo l’interpretazione dell’arabo Averroè) in Europa, tenendo banco fino al Cinquecento. E a lui si deve infine la prima autopsia di cui si abbia notizia per Padova, eseguita sul cadavere di un farmacista morto per avvelenamento da mercurio. Ce n’è comunque fin troppo per non allertare la solerte Inquisizione (istituita dopo il concilio di Verona del 1184 da papa Lucio III), che eleva a suo carico un’imputazione articolata in ben 53 capi d’accusa. La morte, avvenuta nel 1315, lo sottrae a una sicura condanna. Ma il tribunale religioso lo incalza fin nell’oltretomba: un anno dopo la sua scomparsa arriva la sentenza di eresia; e in mancanza del vivo, la sentenza del rogo viene eseguita sul cadavere, appositamente riesumato. A riprova che il potere, quando ci si mette, sa essere stupido.(f.j.)

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