Peroni, la proprietà passa a InBev

Il gruppo belga rileva la SabMiller. I sindacati: «Nuove occasioni di crescita»
PD 30/09/02 G.M. STABILIMENTO BIRRA PERONI, ZIP. (EDEL)
PD 30/09/02 G.M. STABILIMENTO BIRRA PERONI, ZIP. (EDEL)

PADOVA. Nuova svolta nella proprietà della Peroni. Da tempo la società non era più in mani italiane e nei giorni scorsi la “bionda” da sudafricana è diventa belga. Anche lo storico stabilimento Peroni che si trova al civico 56 di via Prima Strada, a pochi metri dalla Safilo e dal casello autostradale di Padova Est, entrerà a far parte assieme agli altri due stabilimenti del medesimo gruppo di Roma e di Bari, della nuova società che nascerà dalla fusione delle multinazionali SabMiller e la belga InBev.

Nascerà un nuovo colosso mondiale nel settore delle bevande alcoliche, con un’operazione finanziaria valutata intorno ai 90 miliardi di euro, che vedrà sotto la stessa proprietà sia le birre oggi prodotte dalla Peroni e quelle che fanno parte del Gruppo InBev, tra cui Corona, Budweiser, Beck’s, Leffe, Stella Artois. È un matrimonio che coinvolge in pieno anche la storia economica di Padova, dove, d’altronde, tanti anni fa, nell’ex Piazza Spalato (oggi piazza Insurrezione) c’era la Birreria Itala Pilsen, trasferita successivamente in via Prima Strada, lato nord dell’area Zip, prima di proprietà della famiglia italiana Peroni (fondata nel 1846) e, dopo, della multinazionale anglo-sudafricana SabMiller. Un’azienda, griffata Padova, che per decenni ha fatto parte della storia della birra made in Italy, dai tempi in cui l’immagine della Peroni era pubblicizzata da una serie di belle donne bionde, tra cui prima dal volto della svedese Solvi Stubing (1965) e anche da quello di Milly Carlucci (anni ’80). Attualmente nello stabilimento di Padova lavorano 108 dipendenti, che producono le birre Peroni, in particolare l’internazionale Nastro Azzurro, che viene esportata in massa specialmente in Gran Bretagna.

Ma come giudicano i sindacati di categoria nostrani il passaggio di proprietà in corso? «No» osserva Andrea Gambillara, della Flai-Cgil. «Al momento i lavoratori non sono preoccupati anche perché l’InBev in Italia non ha alcuna azienda produttiva, ma è solo una multinazionale che commercializza bevande prodotte altrove. Anzi l’arrivo dell’InBev potrebbe rappresentare una grande opportunità di ulteriore sviluppo». Dello stesso avviso anche Gilberto Baratto. «A questo punto si potrebbe prevedere addirittura un aumento occupazionale» dice il sindacalista. «Ma è ancora troppo presto per prevedere il futuro».

Felice Paduano

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