Del Soldà: «La violenza dei giovani? Siamo incapaci di gestire rabbia e conflitto»
Il filosofo e conduttore radiofonico riflette sulla lite violenta in piazza dei Signori: «Viviamo senza strumenti per affrontare il dissenso. La filosofia ci insegna ad aprirci agli altri, ma la ignoriamo».

La risposta è nella filosofia. Come ricerca di sé, in dialogo con gli altri: «Ma noi continuiamo a ignorare la sua lezione». Scrittore, filosofo, autore e conduttore radiofonico, papà. Pietro Del Soldà riflette sulla lite tra due ragazzine sfociata nell’aggressione a due agenti sabato sera in centro.
Fosse accaduto tra ragazzi maschi, avrebbe destato meno scalpore?
«Forse sì, ma a causa di un pregiudizio. Da un lato è indubbio che la violenza pubblica e privata sia ancora in larga misura una prerogativa degli uomini. Basta guardare ai detenuti di sesso maschile condannati per reati di violenza che sono oltre l’80% del totale, e ai casi di violenza di genere in età precoce come quello raccontato in Adolescence, serie tv di successo planetario. Dall’altro aumentano gli episodi come questo, interrogandoci sulle cause di questa trasversalità: è un maschile predatorio che esonda dai binari di un genere e suscita emulazioni tra le ragazze? O è invece qualcosa di radicalmente nuovo, che scaturisce da un’incapacità diffusa di trattenere la rabbia e sostenere il conflitto senza degenerare nello scontro fisico?».
Ecco. Cosa nasconde la violenza esercitata dai giovani e dalle giovani?
«Non sappiamo vivere all’altezza del conflitto che pure, come ricorda un frammento di Eraclito, è «padre e re di tutte le cose»: il filosofo greco non alludeva a un’inevitabile guerra di tutti contro tutti. Al contrario, il conflitto è il confronto con la molteplicità. Qualcosa che noi oggi, adulti e ragazzi, sappiamo fare sempre di meno. Le voltiamo le spalle, la rifiutiamo e basta. A ciò va aggiunta una difficoltà crescente di molti ragazzi e ragazze di confrontarsi con la rabbia: un’emozione essenziale per la costruzione del sé, che però non siamo più abituati a sfogare perché siamo spesso molto soli, a casa e fuori di casa, finendo per temere il contatto con la differenza e rifiutarlo con sdegno. Questo alimenta la frustrazione e ci carica di un’energia negativa esplosiva. Per un adolescente spesso ignorato e poco amato, l’esito rischia di essere devastante. La comunità adulta dovrebbe imparare a intercettare i segnali».
Da Margaret Thatcher “Iron Lady” alla fermezza, spesso accentuata con durezza, dalla stessa premier Giorgia Meloni. Si sta perdendo fiducia nella gentilezza?
«La gentilezza non paga. Sui social la fa da padrone un approccio aggressivo: fan o hater. Le piattaforme digitali hanno esacerbato la polarizzazione dell’opinione pubblica e favorito gli scontri verbali. Inoltre, in un contesto sociale altamente individualistico, le persone pensano sempre e solo all’immagine di sé, a come gli altri le valuteranno. La colpa quindi non è dei politici, espressione del mondo che cambia: stringiamo alleanze con chi la pensa come noi e detestiamo chi ci mette in discussione. La mediazione non è un valore, “dialogo” suona ormai come una parola sterile. E invece dovremmo ripartire proprio da lì, dalla coscienza che la cosa più importante nella vita è aprirsi a chi è diverso da noi uscendo dal recinto asfittico della nostra identità, personale e collettiva».
I presenti hanno incitato e filmato la lite, senza intervenire per arrestarla. Perché?
«Gli spettatori della violenza sono diventati i veri protagonisti. Quella ragazza, probabilmente, pensava più agli smartphone che la riprendevano che alle vittime della sua violenza. Si ambisce alla popolarità, costi quel che costi».
L’arrivo dei poliziotti non ha smorzato gli animi. L’autorevolezza perde autorità?
«L’autorità ce l’hai finché non sei costretto ad esercitarla: le istituzioni non rappresentano più nulla agli occhi di ragazzi che crescono immersi in una società priva di riferimenti».
La filosofia può aiutarci?
«È quel che sapere che ci trascina fuori dalla bolla e ci immunizza dal narcisismo e dall’ossessione identitaria. Non è un sapere astratto, al contrario è la forma di conoscenza più concreta che ci sia, ci avvicina alla gestione dei desideri e delle emozioni (anche della rabbia) insieme a chi diverso da noi. L’essere umano, dice Aristotele, è «un animale politico». Ma noi continuiamo a ignorare la sua lezione».
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