Polizia, Pagano nuovo capo della Mobile «Emergenza, economia esposta a rischi»

la nomina
Cristina Genesin
Un poliziotto del Sud con una forte esperienza contro la criminalità organizzata, italiana e straniera. Non è un caso, forse, che sia stato scelto lui per prendere in mano le redini della Squadra mobile padovana, fiore all’occhiello della questura. Ecco la “carta d’identità” del dottor Carlo Pagano, vicequestore, 42 anni, siciliano di Messina sbarcato a Padova all’alba della “fase 2”. Meno di 48 ore per un rapido colpo d’occhio al centro storico cittadino («Quando mi hanno comunicato la destinazione, il primo pensiero è stato di entusiasmo. Padova è una città bellissima che non conoscevo, ho avuto 48 ore da turista»). Poi l’immersione nel lavoro per dirigere una Mobile che conta una sessantina di poliziotti e poliziotte incaricati delle inchieste più complesse e di fare luce sui reati più gravi e di maggiore allarme sociale.
Il curriculum
Nato a Milazzo, in provincia di Messina, sposato (anche la moglie lo ha seguito nel Veneto) dopo il corso di formazione per Commissari svolto nel 2005 nell’Istituto Superiore di Polizia di Roma, nel 2007 è stato assegnato alla Questura di Agrigento dove è rimasto per cinque anni, ricoprendo l’incarico di vice-dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico e impegnandosi sia nell’attività sul territorio come nell’ambito degli sbarchi di migranti a Lampedusa. Nel 2012 il trasferimento alla questura di Potenza prima come responsabile della Digos poi nella veste di capo della Squadra Mobile. Il 28 giugno 2017 diventa capo della mobile a Taranto e dopo tre anni scarsi il trasferimento a Padova.
Il nuovo incarico
«Cercherò di fare tesoro delle precedenti esperienze personali con realtà che rappresentano la sede di gruppi mafiosi declinandole in modo diverso, adeguato alla realtà padovana» ha spiegato, ieri, il capo della Mobile Carlo Pagano nel corso di un incontro di presentazione in Questura. «Sul territorio di Padova c’è la proiezione di altre organizzazioni criminali e sarà un lavoro da svolgere anche in sintonia con Uffici come l’Anticrimine che curano differenti competenze. Penso» ha aggiunto, «all’aspetto dei patrimoni e alla tutela dalle infiltrazioni di tipo mafioso. L’attuale fase emergenziale ha indebolito gli operatori economici e rischia di esporli a pericoli di questo tipo» ammette.
IL GRUPPO
La conoscenza avviene per gradi, ecco perché, fa capire il vicequestore, il lavoro sarà di squadra: «Conto su un bel gruppo, so di poter avvalermi di una Squadra valida che hanno lavorato con alcuni colleghi, come il dottor Marco Calì, che conosco». I problemi dell’immigrazione li ha approfonditi fin dagli albori. «La mia esperienza mi insegna che, di certo, non si può generalizzare» ha chiarito, «Ci troviamo di fronte a una buona parte di persone che vivono in uno stato di emarginazione e trovano come espedienti anche attività criminali. L’approccio deve essere multiculturale: va reciso il legame tra questi soggetti e gli ambienti criminali. Credo nel dialogo fra istituzioni. E sono altre istituzioni che devono mettere in condizione questi soggetti di potersi inserire nel tessuto sociale». La complessità di Padova è già chiara, tessuto economico e rischio e crocevia per i trafficanti di droga, in mano a bande dell’est Europa-albanesi o nigeriane ai più alti livelli mentre lo smercio è affidato tra i nordafricani: «Padova riflette la realtà nazionale». —
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