«Portello, qui non si vive più»

Lo sfogo di un residente e i ricordi dei passati splendori
PORTELLO. Allarme degrado
PORTELLO. Allarme degrado
 
PORTELLO.
Quartiere popolare, storico, vivace e colorato. Vivere al Portello è - o forse era - motivo di orgoglio per più di un padovano. Essere «porteàto» è (era) motivo di vanto, di intelligenza. Il Portello è quartiere di medici e avvocati, imprenditori e professionisti. Ed è raffigurato nei dipinti antichi e contemporanei: da Canaletto nel '700 fino a Tono Zancanaro. Eppure, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: il degrado e la criminalità sembrano aver preso il sopravvento. Come scrive qui sotto Daniel Franco Munari, in una sua accorata lettera aperta indirizzata al sindaco.
«Carissimo Flavio,  la chiamo per nome perché mi piace scrivere da cittadino a cittadino, e non di rivolgermi in modo lamentoso e pesante al sindaco della nostra splendida Padova. Gentile vicesindaco, gentili assessori, mi permetto di rivolgere anche a voi queste righe dettate dall'amore per la mia città e dal rispetto per la mia famiglia.  Mi chiamo Daniel Franco Munari, ho 36 anni, mi occupo di comunicazione e marketing. Vivo da venticinque anni in uno dei quartieri più belli e più maltrattati della nostra città: il Portello. Sono un uomo fortunato, perché nei primi anni in cui io e la mia famiglia ci siamo trasferiti qui, in vicolo Ognissanti, ho avuto modo di conoscere tantissime delle persone che nella prima metà del secolo scorso e nell'immediato dopoguerra hanno contribuito a dare al quartiere quel sapore di «Borgo incantato», dove tutto poteva succedere, dove spesso abitava gente poverissima, a volte addirittura qualche ladro di galline o piccolo truffatore, ma dove la solidarietà e lo spirito di reciproca amicizia e rispetto per le altrui necessità venivano sempre messe al primo posto. Ho ricordi bellissimi dei racconti di tanti nonni dei miei amici dell'oratorio.  Sono indimenticabili le storie di don Luigi Bertoncello, il vecchio parroco, di Alfonso Rocco il casolino, Francesco Franco il macellaio e Nevio Zugno il tecnico della Sip. Ma anche quelle narrate dalla signora Gardini che vendeva filati e il meraviglioso Celestino Feraresso con la sua bottega di oggetti per la casa. O la splendida Conchita e il suo Pino, ex trapezisti circensi, innamoratisi in Germania nel '50 per poi aprire una piccola cartoleria proprio qui. Qui dove noi siamo diventati grandi assistendo alle mutazioni. Al progresso che deve esserci!  Chi è nato e cresciuto qui ha respirato il Portello sapendo che questo era un posto strano, a volte dove si poteva conoscere gente bizzarra, mai fermo nel tempo, ma soprattutto mai nero. Perché qui tutto quello che capitava veniva vissuto con naturalezza e spirito di solidarietà! Mi ricordo perfettamente le vecchiette del quartiere al banco dei salumi che chiedevano come fosse andato l'intervento per il cambio di sesso alla transessuale Sofia dai capelli rossi. Ed erano emozionate per lei, preoccupate... e le portavano il brodo a casa. Per anni hanno vissuto da queste parti, vicine di casa di medici, avvocati, architetti, imprenditori e «pora gente», bellissime trans che vivevano e lavoravano, nei loro mini affittati qua e la, e convivevano in armonia al fianco delle nostre vecchiette e delle suore Canossiane. Ho frequentato i primi anni dell'università con i miei amici che amavano venire a ballare al Banale, circolo Arci storico, che ha visto i natali di innumerevoli band indipendenti importantissime per il panorama musicale italiano e ha persino ospitato la prima mostra di Maurizio Cattelan!  Magari qualche birra di troppo ci scappava. E quindi qualche schiamazzo. Ma sempre con rispetto per chi dormiva e viveva nei paraggi, che sempre e comunque, con accondiscendenza, accoglieva gli studenti con consapevolezza che la crescita passa anche per il fare un po' di casino. Da adolescente mi è capitato spesso di camminare lungo via Loredan o via Gradenigo. Per andare in centro o a trovare qualche amico, passando a fianco di uomini che si prostituivano di fronte agli istituti universitari ai bordi del Piovego. E mai, né quando avevo 15 anni, né quando ne ho avuto qualcuno di più, si sono permessi di chiedermi nemmeno che ore fossero. Né io né i miei amici del patronato siamo mai stati importunati. Eppure qui non c'erano controlli. Non se ne avvertiva la necessità. Non abbiamo mai vissuto nel paese delle fate, ma in tanti anni (almeno da quando ne ho memoria ed esperienza) abbiamo vissuto in tranquillità e armonia.  Fino a qualche anno fa. Tutto è cambiato e il mio quartiere ormai fa schifo. Il degrado è diventato difficile da sopportare e accettare. Sono ancora residente a Padova, anche se da anni per lavoro mi sposto e ho come base Milano, e torno quasi tutte le settimane a trovare i miei genitori. Per arrivare a casa della mia famiglia devo fare uno slalom con l'auto tra gruppi di spacciatori che mi salutano ammiccanti e cercano di vendermi un po' di droga. Arrivati in vicolo Ognissanti è spiacevole scendere dalla macchina dopo averla parcheggiata. Non ci si sente a proprio agio. Ci si guarda dietro le spalle d'impulso. A volte è disgustoso svegliarsi al mattino, non sapendo se troverai escrementi davanti alla porta di casa, o preservativi usati gettati sul parabrezza della macchina.  Le porte di tutte le case del nostro vicolo hanno subìto danni. Tutti i nostri mezzi di locomozione. Tutte le nostre piante, ma soprattutto noi. Nella nostra serenità. Siamo arrabbiati, ma soprattutto siamo preoccupati. Perché qui vivono cinque gruppi di studenti bravissimi e gentili che escono a fatica la sera per paura di tornare a casa, vivono tre coppie di anziani (i miei hanno 70 e 75 anni), sei bambini sotto i 7 anni e una disabile grave. E ci sono anche 4 cani, che abbiamo paura di lasciare andare in giardino perché temiamo possano trovare qualche boccone avvelenato. Noi abbiamo aspettato per anni, in silenzio e fiduciosi gli interventi che ci sono stati promessi per il nostro splendido quartiere.  Abbiamo visto che qualcosa è stato fatto e lo abbiamo apprezzato, ma non è stato sufficiente. Lo dimostra in modo lampante e palese l'aggressione subita da Giacomo Patanè un mese fa, ma anche quella subita la scorsa estate (mai pubblicata su alcun giornale) dal figlio quindicenne di nostri vicini di casa che lo hanno mandato a fare un bancomat alla posta in via Portello alle 20,30 e se lo sono visto tornare a casa gonfio di botte e terrorizzato. Oppure l'ignobile attacco che hanno subìto lo scorso anno due ragazze sudamericane per avere osato baciarsi davanti a un gruppo di magrebini, che si stavano ubriacando in un bar della zona: i «galantuomini» hanno ben pensato di dar loro una lezione a calci e pugni, urlando alle due malcapitate che nel loro Paese sarebbero state lapidate!  Ma la cosa che mi preoccupa di più è che stiamo cambiando anche noi: abbiamo illuminato i nostri giardini (inutilmente) come fossero i campi di calcio di San Siro. Abbiamo iniziato a scambiare (e redarguire) i parenti di una nostra vicina di origini brasiliane per malfattori in cerca del bottino nelle nostre proprietà. Insomma, abbiamo iniziato a vivere male e questa non è la vita che vogliamo. Non la vorremmo per il nostro mondo. Figuriamoci per la nostra via. Forse da qui poco possiamo fare, ma penso, credo e spero di poter dire e fare qualcosa in merito alla minuscola viuzza dove risiedo dal 2 gennaio 1987 e dove io, i miei, finché Dio vorrà, mio fratello e i nostri figli vorremo continuare a vivere.  Le ho scritto per dirle che siamo tristi e arrabbiati. Stanchi, ma non demotivati. Da oggi, vicolo Ognissanti si dà una mossa. E spero che lei Flavio, che oltre a essere un concittadino e il nostro primo cittadino (che io ho sempre votato), abbia la voglia di darci una mano concreta e veloce. La stessa richiesta faccio anche a voi assessori, anche se non è materia di vostra diretta competenza. Io non voglio mai più svegliarmi una mattina di Natale e vedere Graziella, la mia «tata» di 70 anni che vive ancora con i miei, chinata a tirare su gli escrementi solidi di qualche bieco essere umano.  Credo non piacerebbe nemmeno a lei. Nemmeno a voi. Noi rispettiamo chiunque. Aiutiamo tutti. Ma meritiamo rispetto. Almeno nelle nostre case. Caro Flavio, grazie per la sua attenzione. Aspetto fiducioso e certo di una vostra risposta e l'inizio di una collaborazione. Per tornare a sorridere insieme. Grazie e felice 2011».

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