Procreazione, il viaggio della speranza: «In Grecia per un figlio»

PADOVA. Elisabetta e Vanni ce l’hanno fatta. Dopo 13 anni trascorsi fra un ambulatorio e l’altro, cercando di districarsi tra confuse e scarne informazioni, ora hanno finalmente una speranza. Quella di un figlio. Ce l’hanno grazie alla fecondazione eterologa a cui lei si è sottoposta in un centro specializzato di Salonicco, Grecia, lo scorso mercoledì. Esattamente una settimana prima che diventasse operativa anche in Veneto. Ma la coppia non poteva aspettare oltre anche perché l’impressione, spiegano marito e moglie, è quella di una certa disorganizzazione e, comunque, di una lunga lista d’attesa. Elisabetta e Vanni, entrambi 43 anni, padovani residenti a Santa Maria di Sala, lei casalinga e lui quadro in un’azienda, iniziano nel 2001 il percorso che li ha portati la scorsa settimana in terra ellenica, accompagnati da Cristina Bernardi dell’associazione Sos Pma e da un troupe della Vita In Diretta (la trasmissione andrà in onda domani).
«Inizialmente il mio ginecologo mi rassicurava che non c’erano problemi, che il figlio sarebbe arrivato. Poi, nel 2008, uno specialista mi disse che mancavano gli esami giusti», racconta Elisabetta. Gli “esami giusti” danno due certezze: che il corpo di Elisabetta non può produrre ovociti, che l’unica soluzione è l’eterologa (illegale in Italia) e che molto, troppo tempo, è stato perso. «Cominciai a consultare internet, trovai il riferimento a un libro che divenne il mio migliore amico», prosegue Elisabetta, «Tutti i dubbi ed erano molti perché le informazioni erano scarse e contradditorie, me li chiariva quel libro. E mi aiutava a superare anche le mie paure».
Sì, le paure, i molti timori legati a una pratica medica che l’Italia ha per lungo tempo osteggiato. «Anche ora», afferma, «sento aleggiare intorno a me atteggiamenti ostili: mi dicono che non dovevo parlarne, che ho fatto la cosa sbagliata. E invece io e mio marito siamo convinti di aver fatto la cosa giusta. Io sono iscritta all’Aido e vedo questa come una qualsiasi altra donazione: il più grande atto d’amore». La coppia contatta Sos Pma e si prepararsi così all’eterologa. La decisione, in passato obbligata, di rivolgersi a un centro straniero, porta lo scorso marzo Elisabetta e Vanni in Grecia, nel centro privato Iakentro dove vengono fatti 2 mila cicli l’anno e dove il 60% dei pazienti è formato da italiani (tutti lì dentro, dai medici agli infermieri parlano la nostra lingua). A luglio il primo contratto e mercoledì scorso il transfert degli embrioni. Fra 15 giorni si potrà conoscere l’esito di questo tentativo, già ora però c’è la serenità profonda che solo la speranza può garantire. E da domani la speranza di Elisabetta e Vanni diventerà quella di molte altre coppie che non saranno più obbligate ad andare all’estero. «Perché non sono rimasta in Italia ora che c’è il via libera? Dal punto di vista dell’organizzazione la situazione appare incerta», afferma Elisabetta, «E a 43 anni il tempo stringe».
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