«Promesse e scelte sbagliate, così a Padova corso del Popolo muore»

Maurizio Fortin, ex titolare delle “Buone Voglie”, racconta la sua esperienza. «Esercenti abbandonati dall’attuale e precedente amministrazione comunale»
MARIAN -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - VEDUTA CORSO DEL POPOLO
MARIAN -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - VEDUTA CORSO DEL POPOLO

PADOVA.

«Dieci anni di sacrifici, l’amarezza è grande. Ma resta l’orgoglio per l’onestà e la dedizione spesa in questi anni». Maurizio Fortin, 42 anni, gestiva in corso del Popolo il locale Le Buone Voglie. Gestiva perché, dopo «anni di sacrifici», ha ceduto l’attività a una società orientale. «Le riflessioni sul fatto che il mercato autoctono sta cedendo il passo a quello orientale rimangono sterili e superficiali se non vengono inquadrate in una cornice politica, istituzionale e sociale».

LA SOLITUDINE

Un quadro che lo stesso Fortin chiarisce. «Dopo aver lavorato anche all’estero, ho realizzato il sogno di avere un ristorante tutto mio» sottolinea. «Una sfida contro la fatica, gli orari massacranti, la pressione del pubblico, i conti e le innumerevoli difficoltà ben note a chi sceglie questo percorso professionale. Ma è la passione la spinta propulsiva che ti porta a rinnovarti, a cercare la soddisfazione di ogni singolo cliente, il sorriso di chi sa che in ciò che mangia e beve c’è anche una dose dell’amore del ristoratore, che si sveglia sempre all’alba per assicurarsi che tutto sia pronto nei minimi dettagli e che è l’ultimo a lasciare il locale dopo aver controllato che tutte le luci siano spente. Sacrifici quotidiani in nome dell’amore per il tuo lavoro e per i tuoi dipendenti, che, in fondo, rappresentano la tua squadra e la tua famiglia. Ma la vera sfida non è il lavoro in sé, ma la solitudine. E la solitudine a cui faccio riferimento è l’abbandono da parte delle amministrazioni comunali che si sono avvicendate a Padova negli ultimi anni».

IL CONTESTO

A questo punto Fortin entra direttamente nel cuore delle scelte politiche che, sottolinea, hanno causato l’attuale situazione commerciale davanti la stazione, in corso del Popolo e in piazza De Gasperi. «Lo “sceriffo” Bitonci, per cercare di arginare il degrado, emanò l’ordinanza che fece abbassare le serrande alle 20, impedendoci, di fatto, di lavorare nell’ora dell’aperitivo serale con eventi culturali a tema e ottenendo l’unico risultato di trasformare la zona in un ghetto di spacciatori, che, dall’imbrunire in poi, operavano indisturbati in un territorio in loro, completo, possesso. Di contro la giunta attuale ha abolito subito l’ordinanza del sindaco “sceriffo”, dopo che, in campagna elettorale, l’attuale primo cittadino aveva tenuto una serie di comizi promettendo la riqualificazione di tutta la zona che va dalla stazione all’incrocio con via Trieste e impegnandosi a mettere in atto supporti ed eventi a favore degli esercenti e dei commercianti italiani. Purtroppo le sue dichiarazioni si sono rivelate solo promesse elettorali e le buone intenzioni sono rimaste tali. Da sottolineare anche la politica commerciale totalmente scriteriata messa in atto in zona, con il conseguente trasferimento di numerosi studi professionali in altre aree».

IL CORONAVIRUS

E poi alla fine la pandemia «che sta stravolgendo e mutilando i rapporti interpersonali e cambiando le abitudini dello stare a tavola, della condivisione nelle pause del lavoro e dell’assaporare insieme un caffè. Questo ha messo in ginocchio il nostro settore, che adesso si ritrova con gli affitti arretrati, i piani di rientro con i fornitori, i ratei dei contributi sospesi durante il lockdown, la necessità della liquidità per l’acquisto delle merci, l’incognita della ripartenza». Che fare, dunque, arrivati a questo punto? «Ognuno dei colleghi ha cercato una soluzione adatta rispetto alle propria organizzazione aziendale. Nel nostro caso le spese pregresse, l’accumulo dei costi d’affitto pesantissimi, il calo del fatturato del 70% ci poneva di fronte a due, uniche, alternative: trovare un’acquirente o portare i libri in tribunale. Abbiamo optato per la prima soluzione. L’unica che garantisse il pagamento delle spettanze maturate a tutti i dipendenti. Rimane, comunque, una decisione sofferta sul piano personale, che ha coinvolto sette famiglie che contavano su questo lavoro. L’onestà e la dedizione che metto in tutto quello che faccio mi rende orgoglioso di ciò che ho compiuto in questi anni, assieme a tutte le persone che mi sono state vicine e che mi hanno supportato in questo, difficile, percorso di vita». —


 

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