Quando nel 1478 fece trentamila morti

Il ratto è portatore di una trentina di malattie tra cui le più importanti sono il tifo, la leptospirosi e le pandemie di peste, quella bubbonica e quella polmonare, soprattutto tra il 400 e il 500. Dal 1427 al 1485 Padova è infestata dalla peste per 14 volte. Nel 1478 il flagello fa 30 mila morti. La città è un grande cimitero, avvolta da un sinistro silenzio rotto solo dai rintocchi delle campane e dai lamenti dei moribondi. Nel 1576 circa 10 mila padovani muoiono di peste, un terzo della popolazione. Le pandemie diventano leggenda, entrano nella storia della letteratura: la peste di Atene narrata da Tucidide, la peste del Decamerone, quella manzoniana dei Promessi Sposi e della Colonna Infame, la peste di Camus che scoppia ad Orano.
Naturalmente il rincorrersi delle pestilenze era legato anche alle pessime condizioni igienico-sanitarie, alla denutrizione, alla sporcizia.
Oggi, grazie a Dio, non sarebbe possibile. La peste lascia il segno nell’arte: nella pittura e nell’architettura.
Un esempio è la splendida basilica della Salute a Venezia, un inno di pietra alla Vergine che aveva allontanato lo spettro del morbo. Nella stagione delle grandi epidemie si pensava che il male si diffondesse attraverso l’aria o fosse il prodotto di un maleficio collegato alle congiunture astrali o agli untori o alle streghe. Il bacillo viene scoperto solo nel 1894 da Yersin (Yersinia pestis). Il rovescio della medaglia: è invalso l’uso di allevare in casa dei ratti, come pet, come il cane e il gatto. Sono creature coccolose, stanno sulla spalla, si lasciano prendere in braccio. Sono entrati nei serragli domestici assieme al serpente, al furetto, all’iguana. Per il topo è un singolare patto di alleanza tra nemici che funziona meglio delle larghe intese. (al.co.)
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