Quella «creatura» porta la firma del patron Ivone

Scrive il professor Angelo Ventura nell’ultima pagina del suo libro “Padova” (Laterza 1989): «Mentre si accrescono le dimensioni delle grandi holding, ormai tutte operanti nello scacchiere internazionale, si accentua il rischio della dipendenza dell’economia padovana da altri centri di decisione… In questo quadro si delinea la crisi della finanza veneta che negli ultimi decenni ha visto il declino di grandi imprese dotate di una forte struttura finanziaria che facevano capo ai Montesi, ai Morassutti, agli Schiavo, ai Grassetto».
La Grassetto, in questi giorni, è al centro dell’attenzione per la vicenda dell’Ippodromo «Le Padovanelle», una creatura di Ivone Grassetto, un centro sportivo, con pista per i cavalli e ristorante, di caratura nazionale: rappresentò il sogno del miracolo italiano del dopoguerra con Padova che cambiò pelle per diventare la Milano del Nordest.
L’impresa di costruzioni Grassetto era stata fondata nel 1902 da Eugenio Grassetto, ma aveva raggiunto una straordinaria espansione per merito del figlio Ivone (1910-1971), soprattutto nel ventennio dal ’50 al ’70, con l’affermarsi dell’edilizia industrializzata.
Ivone, che va ricordato anche per il coraggio dimostrato in un interrogatorio subìto dai nazifascisti della Banda Carità , è stato imprenditore di notevole nome. Dopo il tramonto dell’Appiani e la decisione di trasferire lo stadio in periferia, si era formata l’ipotesi di affidare la costruzione dei nuovi impianti sportivi all’impresa Grassetto. La Grassetto è protagonista del decollo economico della città, ma influisce anche, e pesantemente, sul mutamento dell’orizzonte e del paesaggio urbano, soprattutto nel lungo periodo del «governo» di Cesare Crescente, innamorato del progresso (è lui che imprime la spinta decisiva alla realizzazione della Zona Industriale) ma anche, in più occasioni, complice di quello che al tempo veniva definito il “partito dei mattonari”, le grandi imprese edilizie come la Schiavo e, appunto, la Grassetto.
Il successo della Grassetto ha radici profonde: assieme alla Ferraro viene citata nel censimento industriale del 1927 che registra a Padova 8.966 imprese, il 14,18% del patrimonio regionale.
«Le industrie delle costruzioni, in espansione nei primi anni Venti – scrive Giorgio Roverato in “L’Industria nel Veneto, Storia economica” – avevano rallentato l’attività all’inizio del nuovo decennio per la crisi generale del settore. E tuttavia i vasti programmi di rimaneggiamento urbanistico ed edilizio determinò il consolidamento di alcune importanti imprese».
La Grassetto aveva ottenuto l’affidamento di parte dei lavori per il complesso dell’esposizione universale di Roma. La guerra bloccò i progetti ma la Grassetto non scomparve dalla piazza romana partecipando ai lavori per l’espansione dell’Eur tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Questa ascesa non era poi irresistibile, l’impresa infatti fu coinvolta nelle difficoltà del gruppo milanese Ligresti che l’aveva rilevata dagli eredi del fondatore.
Certo, l’attività edilizia in città, con gli effetti di moltiplicazione degli investimenti, forse aprì la strada ad un più diffuso benessere. Ma c’è il rovescio della medaglia: la Grassetto progetta e realizza il grattacielo di Largo Europa, provocando la distruzione del quartiere Conciapelli con l’abbattimento di palazzo Arnholt, vero e proprio castello cinquecentesco attribuito ad Andrea Moroni, sacrificato alle sorti magnifiche e progressive di una Padova futura sempre meno riconoscibile.
Di questi anni è anche l’interramento del naviglio per far respirare il traffico e bonificare il centro dalle zanzare, in realtà fu un’operazione immobiliare in grande stile che sotterrò oltre al canale la poesia della città d’acque.
Ora su quei navigli diventati riviere con i cubetti di porfido, corre il metrobus, ultima idea di una Padova metropolitana che cerca di tenere il passo con l’Europa: i Grassetto sono usciti di scena e al loro posto stenta ad affermarsi una nuova dinastia.
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