Raperonzolo addio: rampussòi mangiati tutti dai cinghiali

È la stagione giusta per gustare la radice che accompagna il salame fresco ai ferri. Vale 60 euro al chilo e ci sono limiti alla raccolta, ma quest’anno non se ne trovano

PADOVA. Uno dei piatti della tradizione euganea più ricercati di questa stagione fredda, il salame fresco cotto alla brace con la polenta e contorno di raperonzoli selvatici (rampussòi in dialetto locale), rischia di sparire. La ricercata erba bienne dalla radice bianca croccante e dal gusto amarognolo, tutelata dal regolamento del Parco Colli per la flora spontanea commestibile che fissa la raccolta per i residenti in appena 200 grammi il giorno, e che si sposa meravigliosamente con la carne ai ferri, è a rischio estinzione a causa dei cinghiali che per arrivare a cibarsi della piccola e gustosa rapa scavano e distruggono l’habitat.

PIANTA RARA 



I raperonzoli fino ad una ventina d’anni fa erano presenti nelle zone umide di tutto il territorio del Parco Colli. Erano protetti, come scrive Antonio Mazzetti nel suo libro “La Flora dei Colli Euganei”, dal geloso silenzio dei contadini che non rivelavano per alcun motivo le zone in cui li trovavano. Come fanno i cercatori di funghi e di tartufi. Oggi trovarli diventa sempre più difficile proprio perché, essendo una pianta bienne, non riesce a raggiungere le dimensioni necessarie per poter essere utilizzata in cucina perché i cinghiali la distruggono prima. «Non se ne trovano più da quando sui colli ci hanno messo il muso i cinghiali», afferma un anziano agricoltore di Tramonte di Teolo «Una volta se ne raccoglievano sul Lonzina, sul Moscalbò e sopratutto sul monte delle Are nelle radure di proprietà dei monaci benedettini di Praglia. Per poterli assaporare con il salame ai ferri e il vino nuovo bisogna acquistarli al supermercato. Ma sono quelli coltivati e il sapore è molto diverso dai selvatici».

L’HABITAT



I raperonzoli crescono spontaneamente nelle aree umide e fresche, ai margini dei vigneti, sotto le siepi, nei cedui, tra le vigne e nelle zone incolte di collina. Durante l’inverno si confondono con le tante varietà di erbe dei colli e solo gli esperti cercatori riescono a individuarli con una certa facilità. Assai più facile identificarli in estate, tra giugno e luglio, quando la pianta si presenta con uno stelo alto fino a 50/70 centimetri e il fiore di colore viola tenue. Il frutto è una capsula che contiene i semi.

IN CUCINA

La radice e i giovani getti vanno raccolti dopo i primi geli invernali che tolgono alle foglie il gusto acre. I mesi più indicati sono quelli di gennaio e febbraio. Oltre che come contorno conditi con olio, pepe e sale - ma anche con il più tradizionale lardo fuso in cui si è fatto evaporare un cucchiaio di aceto - sono ottimi anche per la preparazione di risotti e frittate. In questi ultimi due casi si utilizza la radice ridotta in pezzettini. Proprio per la sua rarità e per le limitazioni sulla raccolta imposte dal regolamento del Parco, sui colli si è arrivati a pagarla 60 euro il chilo.

FOGLIE SALUTARi

Oltre a essere una ricercata insalata da abbinare al salame fresco alla brace, la parte aerea di questa piccola rapa dal nome scientifico Campanula rapunculus L con le foglie dentate e lucide, veniva usata nella medicina popolare come colluttorio contro le affezioni infiammatorie della bocca e del cavo orale. —
 

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