Referendum trivelle, le ragioni del Sì e quelle del No

Domenica 17 aprile si vote per il cosiddetto “referendum no-triv”. La scheda gialla che ci verrà consegnata avrà due caselle, a sinistra quella del Sì e a destra quello del No. Ma prima di prendere la matita e barrare su una delle due scelte è importante fare chiarezza sulle due posizioni.
A pochi giorni dal referendum di domenica, i sostenitori del sì (comitati 'no-triv' e le associazioni ambientaliste come Legambiente e Greenpeace) e quelli del no (come il comitato “Ottimisti e razionali"), hanno dibattuto su molti temi: da quelli di sostenibilità ambientale fino all'impatto economico sui posti di lavoro. Per riassumere i due fronti ecco alcune domande.
Vince il sì: cosa cambia?
Le compagnie petrolifere potranno estrarre petrolio fino alla fine delle loro concessioni. Allo scadere delle autorizzazioni, i giacimenti non verranno più intaccati anche se non il petrolio o il gas non è stato esaurito.
Vince il no: cosa cambia? Nulla: le compagnie continueranno a rinnovare le autorizzazioni a estrarre il petrolio o il gas fino a esaurimento del giacimento. NB. Per la validità del referendum è necessario raggiungere il quorum ovvero devono andare a votare il 50% più uno degli aventi diritto.
Le estrazioni di petrolio e gas: un rischio per il mare italiano?
Voto Sì. Riversamenti in mare e incidenti di routine delle compagnie petrolifere interessano anche le acque italiane. Un rapporto di Greenpeace rivela che due piattaforme petrolifere su tre sporcano rilasciano in mare sostanze nocive e inquinanti. I dati fanno riferimento a monitoraggi effettuati da Ispra, l'istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale.
Voto No. Il controllo c’è e le norme di sicurezza funzionano. Il fronte del no risponde così alle preoccupazioni degli ambientalisti per l’inquinamento del mare italiano. A monitorare la situazione ci pensa l’Ispra e altri enti come le capitanerie di porto, le Asl, e l’Istituto nazionale geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia.
Senza estrazioni, siamo in grado di soddisfare il fabbisogno di energia?
Voto Sì. Le fonti rinnovabili sono una risorsa ancora da scoprire. Secondo i dati di Legambiente, le trivellazioni nelle acque italiane sono uno spreco: quanto estratto dai giacimenti interessati dal referendum coprono meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas. Inoltre, con la fine delle estrazioni nelle piattaforme entro le 12 miglia, il Governo sarebbe incentivato nella creazione di 'energia pulita', quella proveniente dalle fonti rinnovabili. In questo modo l'Italia, insieme agli altri 193 Paesi che hanno partecipato alla Cop21 (la conferenza di Parigi sul clima), riuscirebbe a mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi, traguardo possibile solo con un taglio rapido dell'uso dei combustibili fossili.
Voto No. L’estrazione del petrolio copre oltre il 10,3% del nostro fabbisogno. La quantità di energia prodotta dai combustibili fossili non può essere sostituita del tutto da quella prodotta dalle fonti rinnovabili. Secondo il fronte del No, il rischio sarebbe una maggiore dipendenza dagli altri paesi produttori di gas e petrolio. Non solo: rinnovando le concessioni, le società petrolifere ci permettono di prevedere quanta energia verrà prodotta. Il fattore dell'imprevedibilità è, invece, una costante delle fonti rinnovabili.
Con la fine delle concessioni, verranno tagliati posti di lavoro?
Voto Sì. Il petrolio non rappresenta la prima risorsa del Paese come invece può essere il turismo. In Italia le persone impiegate nel settore turistico sono più di 3 milioni mentre quelle impiegate nel settore del patrimonio culturale arriva a 1 milione e mezzo. Nelle casse dello Stato entrano ogni anno 160 miliardi di euro, in altre parole il 15% del Pil italiano. Per il fronte del sì, gravissimi sarebbero i danni provocati alla flora e alla fauna marina in caso di riversamenti di petrolio nelle acque italiane.
Voto No. Le persone impiegate nelle attività di estrazione sono oltre 10.000. Per il fronte del no, non si può rischiare che i dipendenti delle compagnie petrolifere rischino di perdere il lavoro. E non solo: anche lo Stato italiano perderebbe un'ingente entrata. Ogni anno, tra tasse e royalities, viene versato nelle casse italiane oltre 1 miliardi e 200 milioni di euro.
Quanto costa questo referendum? È utile?
Voto Sì. Il referendum è un importante strumento democratico nelle mani del popolo italiano. Non andare a votare vorrebbe dire rinunciare a un diritto insito nella definizione di cittadino.
Voto No. Il quorum sembra molto lontano, soprattutto perché la data scelta dal Governo (il 17 aprile) non coincide con le amministrative che si terranno invece a giugno. Quindi, per il fronte del no i 400 milioni spesi per il referendum sono un costo "inutile".
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