Rifiuti d’oro, coinvolta nell’inchiesta un’azienda di Megliadino San Vitale

Stivate in capannoni dismessi 800 tonnellate di inerti provenienti dalla Bigaran, raggirata dalla ditta cui si era rivolta per smaltirli



L’inchiesta delle “scoasse d’oro” e dei capannoni abbandonati passa anche per Megliadino San Vitale. Il Comune della Bassa padovana compare infatti negli atti dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che ha scoperchiato un traffico illecito di circa 37 mila tonnellate di rifiuti e che ha portato a 15 arresti (otto persone sono finte in cella).

L’input all’indagine

Tutto è partito dal rogo scoppiato il 14 ottobre scorso a Milano, in un capannone del quartiere Bovisasca: in fumo 16 mila metri cubi di rifiuti plastici; furono costretti a lavorare per giorni almeno 170 equipaggi di vigili del fuoco lombardi. L’incendio, si è scoperto, era stato innescato dalla banda in questione per smaltire la spazzatura e cancellare le prove delle loro attività criminale. L’indagine, nata appunto a Milano, è arrivata in Veneto nel novembre scorso: a Fossalta di Piave (Ve) era stato scoperto un altro capannone stipato di rifiuti. Ulteriori indagini hanno portato nell’area Megliadina.

IL MECCANISMO

Il giro illecito di rifiuti emerso dall’inchiesta era più o meno questo: grandi quantitativi di immondizia, prodotti perlopiù nel Meridione, invece di essere trattati in appositi impianti di stoccaggio o in termovalorizzatori, finivano all’interno di capannoni abbandonati in Veneto. A capo dell’organizzazione criminale c’era un piemontese, Aldo Bosina, che attraverso la Ipb Italia srl e altre società mascherate si proponeva alle piccole aziende, assicurando loro di poter smaltire i rifiuti a buon prezzo. Peccato che quei rifiuti finivano in capannoni presi in affitto, come quello di Bovisasca a Milano. Quando questi stabilimenti erano al culmine, se ne trovavano altri. Meglio se abbandonati e che non davano nell’occhio. Da Milano si era passati al Veneto, dove la banda aveva scovato capannoni liberi a Verona e a Fossalta di Piave (Venezia). Con la crisi dell’ultimo decennio, d’altra parte, trovare uno stabilimento vuoto non è poi così difficile.

RIFIUTI DA SAN VITALE

Tra gli arrestati c’è anche Diego Giro, 49 anni di Caorle (Ve), che oltre ad aver segnalato a Bosina il capannone di Fossalta è stato anche l’intermediario che ha messo in contatto il sodalizio criminale con la Bigaran srl, realtà di San Biagio di Callalta (Treviso) impegnata nello smaltimento dei rifiuti, secondo maggior cliente della Ipb.

Con la Ipb la Bigaran, nell’aprile 2018, ha concordato un prezzo di smaltimento di 160 euro a tonnellata per alcuni rifiuti provenienti dall’impianto di San Biagio, e 158 euro per altri rifiuti provenienti dall’impianto di Megliadino San Vitale. Da giugno a ottobre da Megliadino San Vitale sono partiti 28 trasporti, per un totale di 808,17 tonnellate. Erano rifiuti etichettati come EER 191212, definiti “sovvalli”, quasi sempre inerti.

La Bigaran, che non ha responsabilità in questa inchiesta, ha peraltro subito una beffa: il formulario di identificazione dei rifiuti, nel suo caso, era stato contraffatto. La Bigaran non risultava come conferente, ma come destinataria dei rifiuti. La falsificazione era stata opera della Ipb di Bosina.

INCENDI E RIFIUTI

Bigaran e Megliadino San Vitale è binomio che compare in un’altra inchiesta di due anni fa. Anche qui si parla di mafia, di incendi e di rifiuti, anche se con tinte diverse. Nel dicembre 2017 la Prefettura di Verona aveva indirizzato un’interdittiva - uno stop alle attività - alla Commercial Company srl di Legnago (Vr) controllata da Giuseppe La Rosa, 54 anni, palermitano con alle spalle diverse “storie” di mafia e ruoli di rilievo nel clan Brusca. La Rosa era stato arrestato e condannato per associazione di stampo mafioso, poi era diventato collaboratore di giustizia. Si era quindi trasferito a Megliadino San Vitale con la famiglia.

Lui e i suoi parenti si erano legati a diverse società operanti nel Padovano. Società che venivano acquistate e rivendute, oppure che fallivano e chiudevano. L’interdittiva della Prefettura, viste queste anomale dinamiche e visti i precedenti del palermitano, aveva segnalato «un elevato rischio di infiltrazione mafiosa nelle imprese riconducibili a La Rosa». La Prefettura scaligera aveva bloccato la Commercial Company perché la riteneva controllata da Giuseppe attraverso il nipote Michele Lo Greco. Ed ecco il riferimento all’attualità. Lo Greco, a sua volta, era titolare anche di altre società, come la R.M. Trasporti srl, con sede in via Bovoline 1 bis a Megliadino, stesso indirizzo in cui trovava spazio un deposito della F.lli Nalin snc, azienda specializzata in raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti, con sede a Este e poi trasferita in via dell’Artigianato 25 a Megliadino. Questo stabilimento venne distrutto da un incendio il 28 luglio 2012: all’interno c’erano in particolare carta riciclata e plastica. Dopo l’incendio l’azienda non si è più ripresa: nel giugno 2016 è fallita e nell’aprile 2017 è stata rilevata proprio dalla Bigaran srl, realtà che già nel 2014 era stata peraltro colpita da due incendi nella Marca. Corsi e ricorsi della storia, magari slegati tra loro, che però finiscono sempre all’attenzione di autorità e forze dell’ordine. —

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