Locali a Padova tra crisi occupazionale e chiusure: le proposte dei ristoratori
Federica Luni, presidente dell'Associazione Pubblici Esercizi, propone un contratto ad hoc per gli studenti universitari assunti nei bar e nei ristoranti padovani. Ecco perché potrebbe aiutare gli esercenti

«Detassare il lavoro degli universitari per aiutare i locali alle prese con la mancanza di personale». È l’idea che la presidente dell’associazione del pubblici esercizi Federica Luni lancia al termine del suo primo anno alla guida dell’Appe. È l’occasione per affrontare i temi del futuro dei locali, della mancanza di personale, dei cantieri, della buona e mala movida, e dell’importanza indiscussa della formazione.
Presidente Luni, la crisi occupazionale è forse la prima criticità del settore. Cosa fare?
«Un’idea innovativa ce l’abbiamo e speriamo di concretizzarla con la Regione e l’università già nel 2025. Padova ha tantissimi studenti a cui fa comodo un lavoretto e molte attività cercano personale, anche part-time. Pensiamo ad un contratto ad hoc che non influenzi l’Isee degli universitari e non gravi sui datori di lavoro. Senza contare che sarebbe la fine definitiva del lavoro nero».
E il contributo di Appe quale sarebbe?
«Noi organizzeremmo i corsi di formazione obbligatori che dovranno essere finanziati dalla Regione. E magari potrebbero essere considerati crediti universitari»
Un obiettivo ardito.
«Dare un contributo al diritto del lavoro a partire da Padova? Un po’».
Del resto la sua prima azione da presidente era stato un talent day, una formula nuova per cercare collaboratori.
«Venivamo dalle cene di Natale e Capodanno del 2023, dove il personale era introvabile. Il talent day ha avuto successo, tanto che lo ripeteremo anche nel 2025: l’80% delle candidature si è trasformata in lavoro, non prima di una seria formazione perché la competenza è indispensabile. Chi si improvvisa fa danni a sé e ai colleghi intorno perché crea concorrenza a breve termine che scoppia come una bomba. Dico da tempo che servirebbe un albo anche per gli imprenditori della ristorazione perché 2-3 anni di esperienza non formano un imprenditore e le chiusure lo dimostrano».
Perché?
«Perché a molti aprire un bar sembra una cosa semplice. Alla fine del 2023 avevano 2.270 bar attivi nel Padovano e 1.838 ristoranti. Al 30 settembre di quest’anno invece i bar attivi erano 2.236, dunque 34 in meno e i ristoranti 1.871, più 33. Questo ci dice che i bar chiudono più dei ristoranti e io penso che sia perché c’è più inesperienza. Poi bisogna considerare la pesante crisi energetica, gli aumenti delle materie prime, lo stesso smart working post Covid che ha messo in difficoltà più di un locale. I tremila pubblici esercizi della nostra provincia danno lavoro a circa 15 mila persone: ogni chiusura sono famiglie che restano senza lavoro».
Si chiude per approssimazione quindi?
«È sicuramente una delle prime ragioni: una nuova attività resiste in media 5 anni. Posso dire che in centro c’è un grande tour over di aperture e chiusure, fa parte del gioco. Preoccupa di più se a chiudere è un’attività radicata, di quartiere, che magari ha decenni alle spalle».
Eccellenze di longevità come la sua pasticceria Estense, da 65 anni a Forcellini?
«La nostra è una storia come ce ne sono tantissime a Padova: locali in periferia che hanno scritto la storia dei quartieri, fatta di feste, cerimonie, momenti che scandiscono la vita delle persone. Oggi sono minacciati dal cambio generazionale che, a causa della crisi demografica, potrebbe portare qualcuno a gettare la spugna».
In questi mesi molti commercianti lamentano disagi per i lavori del tram: come sta andando?
«I disagi ci sono, tuttavia il problema non sono solo i cantieri, sappiamo che i lavori ci accompagneranno per tutto l’anno. Il problema è la mancanza di comunicazione da parte del Comune. Dopo tante riunioni, spiace dover constatate che manca ancora il dialogo: ho scoperto la chiusura di via Sografi, dietro la mia attività, dai giornali il giorno stesso che iniziavano i lavori. Eppure l’unica cosa che abbiamo chiesto in tutti i tavoli è di essere informati un po’ prima per organizzarci. Capisco che la programmazione non sia facile, che possano esserci dei problemi, ma dall’amministrazione di Padova mi aspetto competenza aziendale, non che si navighi a vista. Tra due anni la nostra città sarà strepitosa, ma due anni sono lunghi da passare: a ogni chiusura le attività hanno la clientela da informare, il personale da riorganizzare, i turni da gestire. Non è così difficile capirlo».
Servirebbero anche più aiuti economici?
«Decisamente».
E della movida cosa pensa?
«In centro con i plateatici si è creato un bell’ordine: il cliente è seduto, non crea capannelli disordinati, non lascia i bicchieri per terra, non si porta alcool da casa. Siamo finalmente una città turistica come le grandi città europee. In questo momento l’enogastronomia è trainante».
E ai residenti che si lamentano e a chi dice che la movida fagocita le botteghe, cosa risponde?
«È vero che le piazze non devono essere tutto un plateatico, ma qui parliamo di organizzare la vita che c’è già, fatta di aperitivi, ragazzi, turisti, ma anche limitazioni di orari e volume della musica. Basta pensare al Portello per capire la differenza. Organizzazione significa sicurezza e funzionalità. Facciamo differenza tra buona e mala movida».
Ovvero?
«I fenomeni vanno regolati. Se la convivialità delle persone è ben gestita, è più sicura ed è un ottimo biglietto da visita cittadino. Altrimenti crea problemi. Per noi l’insicurezza è l’avventore ubriaco o aggressivo che dobbiamo gestire. Per questo da gennaio abbiamo organizzato con la questura degli incontri per formare il personale, che è soprattutto femminile».
Come sarà il 2025 per i locali padovani?
«Abbiamo molte sfide da vincere. Una è quella del riconoscimento Igp alla Pazientina, la tipica torta padovana. Negli anni ’90 questo dolce è stato tutelato da un punto vista culturale, ma non legale. Io vorrei fosse come la Sacher per Vienna: un’icona. Stiamo attendendo il passaggio del disciplinare in Regione, poi passerà a Roma e dopo altri 2 mesi a Bruxelles. Il 2025 sarà decisivo. Intanto sono sempre di più i ristoratori che offrono la Pazientina a fine pasto e, a gennaio, faremo due corsi per insegnare la versione tradizionale anche nelle scuole alberghiere».
La Pazientina è la dimostrazione del talento umano, ma qual è la posizione dell’Appe rispetto all’Intelligenza artificiale?
«Molto positiva. In associazione abbiamo fatto un esperimento: abbiamo fatto organizzare all’Ai la disposizione dei tavoli in una giornata molto difficile. Il risultato è stato incredibile. Immaginiamo cosa potrebbe fare nella gestione dei turni o degli orari. In molti usano già l’intelligenza artificiale nel marketing, nei social, nella presentazione un piatto. Va tutto bene, non sostituisce le persone e appunto i talenti, ma può essere un valido aiuto in termini di gestione».
Mi consenta un’ultima domanda personale: com’è stato un anno da presidente donna, la prima nella storia dell’Appe?
«Difficilissimo. Avevo paura di non far combaciare tutte le cose: lavoro, famiglia, presidenza. Mio marito mi ha aiutata tanto: mi ha dato la forza, ha sempre creduto in me. Ora ho trovato il mio equilibrio: da presidente lavoro in pausa pranzo, quando i ragazzi sono a scuola. C’è chi va in palestra e chi va in associazione. Ma devo ringraziare il direttore Filippo Segato e i consiglieri del direttivo che spesso mi aiutano ad essere dove da sola non potrei».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova