«Riuscii a salvarmi chiudendo gli occhi e fingendo la morte»

Diana Olivetti e Tamara Gobbo, ventitreenni padovane, furono uccise nel 1997 sul monte Morrone, in Abruzzo, dal pastore macedone Alì Hasani Aliyebi. Le ragazze, l’una di Albignasego e l’altra...
Diana Olivetti e Tamara Gobbo, ventitreenni padovane, furono uccise nel 1997 sul monte Morrone, in Abruzzo, dal pastore macedone Alì Hasani Aliyebi. Le ragazze, l’una di Albignasego e l’altra residente a Villatora di Saonara, erano in vacanza insieme a Silvia, sorella di Diana, e dormivano in tenda nell’agricampeggio «Colle dei lupi» di San Giacomo, frazione di Sant’Eufemia di Maiella.


Alle 8 di mercoledì 20 agosto, raggiunsero a bordo della loro autovettura il passo San Leonardo, per poi iniziare a piedi, munite di zainetti e viveri, un’escursione verso il monte Morrone. Alle 10 arrivarono al rifugio Capoposto, dove alloggiava Hasani. Diana, Silvia e Tamara chiesero informazioni proprio al pastore, che si offrì come guida, ma le condusse in un boschetto isolato. Quando se ne accorsero e protestarono il giovane immigrato, clandestino in Italia, tirò fuori dal suo zainetto una pistola e le minacciò: Silvia gli offrì tutti i soldi in loro possesso ma Hasani rispose di non volere il denaro e aggredì Diana. La sorella Silvia e l’amica Tamara gridarono. Il pastore reagì sparando ad un fianco e a un polso di Silvia, che cadde a terra e perse i sensi.


Quando si riprese, la ragazza vide Tamara riversa sul terreno, freddata da un colpo al cuore, e l’assassino che stava tentando di stuprare Diana (la violenza però, come dimostrato in sede processuale, non avvenne). Silvia, che Hasani credeva morta, reagì, si alzò e, sebbene sanguinante, riuscì a fuggire e a mettersi in salvo.


Dopo cinque ore di corsa nei boschi raggiunse Marane, dove chiese aiuto alla studentessa Maria Grazia Centofanti, che chiamò il 112 e il 118. Mentre Silvia venne ricoverata all’ospedale di Sulmona, i carabinieri iniziarono le ricerche e alle 23 Alì Hasani Aliyebi venne preso e trattenuto in caserma.


Alle 6.30 del 21 agosto, due poliziotti di Sulmona trovarono i cadaveri di Tamara e Diana (anche lei uccisa con un colpo al cuore), mentre alle 14.15 Silvia riconobbe l’assassino in una foto che le venne mostrata dagli inquirenti: era proprio lui, il pastore Alì Hasani Aliyebi, che la ventunenne inchiodò con una testimonianza lucida e schiacciante. L’omicida confessò, poi cambiò versione e negò ogni responsabilità. Ma i giudici non gli credettero e lo condannarono all’ergastolo.


Aggiacciante la testimonianza si Silvia durante il processo, nel 1999. «Non sembrava sospetto. È stato anche gentile. Prima Diana gli ha chiesto da lontano se eravamo sulla strada giusta per andare sulla vetta; dopo qualche minuto egli ci ha raggiunto da dietro, dicendoci che nello stazzo lì vicino c’erano dei cani e che era meglio passare per un boschetto. Dopo averci guidato, lo abbiamo ringraziato per le indicazioni, ma lui ha estratto una pistola, dicendoci di entrare nel bosco: ci siamo fermate per convincerlo a lasciarci andare, offrendogli tutto quello che avevamo. S’è avvicinato a Diana. A bruciapelo mi ha sparato colpendomi all’addome e sono crollata a terra. Di riflesso ha sparato su Tamara. Diana ha urlato: “Le hai uccise, ma sei pazzo? ”. Lui mi si è avvicinato. Mi ha alzato la testa: io ho chiuso gli occhi facendo finta di essere morta. Lui s’è allontanato con Diana. Tamara rantolava. Lui le ha fatto togliere prima la maglietta poi i pantaloncini. Nel frattempo ho visto gli occhi di Tamara spegnersi. È stato un attimo: mi sono alzata e mi sono messa a correre, lontano dal sentiero, dentro il bosco per non farmi vedere da lui. L’ho visto nudo, con i pantaloni scesi, sopra mia sorella la quale urlava. Poi ho sentito uno sparo».


Attualmente nessuno sa che fine abbia fatto il pastore macedone, per un periodo detenuto anche nel carcere di Padova. Giovanni Maria Giaquinto, avvocato romano e suo legale: «Credo sia in un penitenziario in Macedonia ma non ho notizia di lui da molti anni ormai»
. (e. fer.)


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