Robyn nel deserto australiano con i suoi tre cammelli

Nel 1975, una giovane australiana di 25 anni, Robyn Davidson, arriva nella cittadina di Alice Springs nell’Australia centrale, un luogo inospitale per una ragazza abituata alla vita in una grande città, pur con la fissa di compiere un impossibile viaggio in solitaria attraverso il deserto, sino all’Oceano Indiano. Senza sapere niente di cammelli, Robyn trascorre due anni nel clima estremo di Alice Springs, imparando ad addestrare cammelli selvatici, lavorando per due allevatori: un uomo duro come l’austriaco Kurt Posel e il più mite e incoraggiante Sallay Mahomet, da cui avrà in regalo i tre cammelli per il viaggio. Ad Alice Springs, Robyn incontra anche il fotografo Rick Smolan del “National Geographic”. Rick convince Robyn a firmare un accordo con la rivista, che finanzierà il viaggio in cambio di un reportage fotografico realizzato da Smolan. Così la ragazza parte a piedi agli inizi del 1977 con i suoi tre cammelli – Bubs, Dookie, Zuleika – e il piccolo Golia, partorito da Zuleika durante il viaggio. Arriverà a destinazione sulla costa occidentale australiana dopo nove mesi e 2.700 chilometri di viaggio, alla fine dell’anno. A spingerla a questo gesto estremo considerazioni ricorrenti: dall’infanzia lacerata dal suicidio della madre e alla perdita della cagnetta adorata, all’emulazione verso il padre, esploratore del Kandahar in gioventù, ma soprattutto la volontà di ritrovarsi, di accettare gli uomini, sempre in seconda fila dopo gli animali. Quella di Robyn è rimasta negli annali delle traversate solitarie grazie ai quattro cammelli e nell’immaginario collettivo in forza del servizio fotografico del “National Geograhic”. Dopo altri tentativi falliti di portarla sullo schermo, il newyorkese John Curran è riuscito a dirigere “Tracks”, in concorso a Venezia 2013. Il film riproduce fedelmente l’itinerario sulla scorta della documentazione fotografica di Rick Smolan e del libro della ragazza, in seguito scrittrice di viaggi e di avventure. Il taglio dato da Curran non poteva che essere documentaristico, nel rispetto della fiction: siamo dalle parti di “Into the wild”, anche se in modo meno estremo e meno tragico. La solitudine di Robyn (Mia Wasikowska), però, a differenza del personaggio di Sean Penn, più che una libera scelta è un atto dovuto, una fuga dal mondo civile che la ragazza si porta dietro da quando la madre se n’è andata, a 11 anni. I suoi incontri risultano casuali, effimeri, e non vanno oltre una psicologia appena abbozzata, si tratti di aborigeni o del rapporto col fotografo un po’ invadente con cui tuttavia alla fine costruirà una vera amicizia.
Durata: 120’ – Voto: ** ½
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