Ruba indirizzi all'ospedale e si finge ginecologo per avere foto hard
PADOVA. Lo conoscono le procure di mezza Italia. In anni di attività, il “metodo” di lavoro non è mai cambiato per Sisto Salvatore Urgo, 32 anni di San Mauro Forte (Matera): grazie alla sua grande abilità tecnologica da hacker, “ruba” informazioni dai data-base dei reparti di Ginecologia degli ospedali, contatta le pazienti di regola quelle più giovani (tutte tra i 20 e i 30 anni), si spaccia per lo specialista in ginecologia cui è stato affidato la loro cartella clinica, poi sollecita informazioni sulle abitudini sessuali e l’invio di un video relativo alle parti intime o di fotografie indispensabili per approfondire il caso clinico.
Davanti al tribunale di Bologna è in corso un processo che riunisce ben sette procedimenti. A Trani si sta celebrando un altro processo. Anche a Padova Sisto Salvatore Urgo è finito nei guai per violenza sessuale aggravata, dal fatto di essersi attribuito la qualità di medico ginecologo e di aver abusato delle condizioni di inferiorità della persona offesa (una paziente della Ginecologia dell’Azienda ospedaliera, 26 anni di Padova), nonché per molestie telefoniche verso una giovane di Trevigiano (pure di 26 anni) che si era sottoposta ad alcuni esami ginecologici nell’ospedale di Montebelluna (Treviso). Il pm padovano, Vartan Giacomelli, ha chiuso l’indagine e ha chiesto di processare Urgo, difeso dal penalista beneventano Alberto Simeone: l’udienza preliminare davanti al gup Domenica Gambardella è fissata per il 19 giugno.
L’ indagine è stata svolta dalla Polizia postale che è partita da una serie di denunce peresentate in Emilia Romagna da nove giovani (la metà studentesse universitarie) contattate da un sedicente ginecologo con domande, o richieste, che nulla avevano a che fare con l’esercizio della professione medica. Si è identificato il “contatto”, Urgo, e si è scoperto che aveva avuto accesso agli archivi informatici dei reparti ginecologici di Bologna, Parma, Reggio Emilia, Modena e Piacenza. Il 31 ottobre 2012 era scattato l’arresto per l’uomo che si presentava al telefono con il cognome di ginecologi realmente in attività, chiedendo informazioni sulla sintomatologia con foto o video per analizzare le patologie delle pazienti (il processo davanti al tribunale di Bologna il 25 settembre).
È nel luglio 2012, invece, che la 26enne padovana viene contattata al telefono da Urgo, pronto a qualificarsi come ginecologo in servizio nell’ospedale di Padova dove lei si era rivolta nel 2010: «Sono stato incaricato di occuparmi del suo caso... Le è stata riscontrata un’infiammazione vaginale e ho bisogno di altri dati». I dati richiesti consistevano in un video mentre compiva un atto di autoerotismo «perché ho la necessità di localizzare l’infiammazione». La giovane c’è cascata in pieno e ha inviato alla mail indicata il filmino.
La trappola non ha funzionato con la 26enne di Trevignano, contattata il 30 settembre successivo: si era sottoposta ad esami come il pap test all’ospedale di Montebelluna. E anche a lei il sedicente «dottor De Lazzari» aveva parlato «di esiti dell’esame con gravissime anomalie» per carpire informazioni sulle sue abitudini sessuali. Urgo, all’apparenza un giovane di buone maniere, fa l’impiegato nel mobilificio del padre: ha già patteggiato una condanna. Nel processo di cui è protagonista, sia a Trani che a Matera, è in corso una perizia psichiatrica. Singolare il fatto che quasi nessun ospedale si sia costituito parte civile.
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