Rubelli guarda al futuro dedicandosi alle sue radici

Da 125 anni una famiglia racconta sul tessuto le storie che incontra: dalla Regina di Savoia agli sceicchi di Dubai, passando per il magnifico Teatro Bolshoi di Mosca. Quest’anno l’azienda Rubelli festeggia oltre un secolo di successi. I ricavi, al primo semestre 2014, sono infatti in crescita dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2013 e il fatturato si riconferma stabile a 70 milioni di euro (Rubelli Spa più Donghia Inc), 80% ricavato dall’export.
Novecentotrenta tessuti diversi con 6.900 varianti. Dai minareti orientali alla Principessa Kokacin, dal mantello di velluto di Harry Potter alla stoffa di piume di pavone: fantasie che incantano fin dall’origine. Nel lontano 1889 il veneziano Lorenzo Rubelli, fino a quel momento diplomatico, decide infatti di cambiare vita. In quel periodo è in vendita a Venezia una famosa ditta, formata dall’unione dell’azienda di passamaneria di Giobatta Trampolin con quella dedicata ai tessuti di arredamento di Giacomo Panciera. Lorenzo Rubelli ha sempre avuto una particolare sensibilità per le stoffe, non solo per i tessuti pregiati acquistati nelle terre d’Arabia o nel Mar Rosso, durante i viaggi di lavoro. Già nel 1637 i Rubelli erano conosciuti in città come maestri capi tintori. Acquistando la ditta il veneziano riprende così il filo della sua famiglia dando vita alla Rubelli Venezia, destinata a portare nel suo dna lo spirito del fondatore: l’internazionalità. «Quello che ci ha permesso di arrivare fino a qui» spiega la marketing director Loredana Di Pascale «è prendersi cura delle proprie radici, ma nello stesso tempo guardare oltre. Made in Italy e mercato estero sono le parole chiave. Noi siamo in 80 paesi diversi».
Molti anni fa due anziane signore veneziane, storiche dipendenti di Rubelli, sono andate a insegnare l’arte della tessitura a Como, nella sede di Cucciago, dove il tessuto viene ancora lavorato a mano su antichi telai del Settecento. Le stoffe vengono lavorate solo in Italia. Una strategia portata avanti anche grazie all’acquisizione di nuovi brand (Armani Casa Exclusive Textiles nel 2009, società americana Donghia nel 2005, marchio francese Dominique Kieffer - oggi diretto da Paola Navona - nel 2001) che permettono di seguire il prodotto fino al consumatore. Un capitolo a parte è riservato a Donghia, il cui fondatore Angelo emigrò in America per fare fortuna, diventando uno degli interior designer più apprezzati d’Oltreoceano con clienti come Donald e Ivana Trump, Liza Minelli o Diana Ross. Oggi Donghia appartiene per 50% a Rubelli tanto che molti prodotti si fabbricano in Veneto (pelli nel vicentino, sedie nel veronese e vetri a Murano). In totale l’azienda ha 360 dipendenti, 195 di Rubelli e 165 di Donghia.
In 125 anni l’azienda è sempre stata a conduzione familiare. Dopo il fondatore è la volta del figlio Dante Zeno che nel 1901 sa conquistare la regina Margherita di Savoia la quale, giunta a Venezia, chiede di vedere alcune stoffe. Incontro decisivo. La regina commissiona alcuni lavori urgenti alla ditta. È in questo momento che l’azienda spicca definitivamente il volo: dagli interni di alcuni ministeri a Roma fino al al teatro Garibaldi di Padova: avere un Rubelli è garanzia di classe. A Dante Zeno seguono Gabriella Rubelli, Alessandro Favaretto Rubelli e gli attuali Nicolò, Andrea e Lorenzo Favaretto Rubelli, tutti impegnati in settori diversi portare avanti lo spirito del fondatore il cui ritratto è affisso in un quadro della sede centrale.
A Marghera è disponibile per gli studiosi di tessuti una biblioteca fornitissima di libri e stoffe, ma per toccare con mano le meraviglie dell’azienda bisogna andare nello show room di Palazzo Corner Spinelli e vedere come un filo può rivoluzionare il mondo.
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