Ruspe ferme davanti al murale SONDAGGIO: che fare adesso?

Il ritratto di Ayrton Senna impone lo stop alle demolizioni. Ma tutto il quartiere ora protesta

PADOVA. La riqualificazione di piazza De Gasperi-via Trieste potrebbe sacrificare un’opera di street art del writer padovano Alessio B: il volto di Ayrton Senna sullo sfondo di Rio e il suo Cristo Redentore.

La leggenda dell’automobilismo è stata realizzata nel 2016; la cornice da una crew della città di Rennes in una sorta di gemellaggio europeo di pop art.

La spaccatura è netta: da una parte l’arte, quella contemporanea, che sta narrando le sue vicende giorno dopo giorno, ma che solo la storia potrà consacrare; dall’altra un rione intero che è disposto a rinunciare e immolare quel murale in nome di un obiettivo giudicato superiore: liberarsi di spaccio, degrado e lordure. Una crepa che potrebbe dividere anche la Giunta. Da una parte l’assessore alla cultura, Andrea Colasio, che ha sollevato la questione; dall’altra il collega Andrea Micalizzi, assessore alle opere pubbliche, che ha deliberato la demolizione lo scorso ottobre. In mezzo un fiume di indignazione, quella dei residenti e dei commercianti che in questa rinascita ci hanno creduto e investito denaro e cuore.

I fatti. Dopo una serie di incontri con il quartiere, Micalizzi, tre mesi fa, mette il timbro sulla demolizione, al costo di 40 mila euro. A dicembre iniziano i lavori, rallentati il mese scorso dalla scoperta di alcuni cavi Enel. Ieri doveva essere il giorno del brindisi (organizzato da cittadini e negozianti) quando l’ultimo mattone sarebbe deflagrato a terra. Invece si è bloccato tutto, appeso al muro di quel graffito. Le due palazzine sono andate giù, non restano che le macerie, mentre Senna e Cristo sono stati preservati in attesa che la Giunta (oggi) ne decida le sorti.

«Siamo molto arrabbiati», protestano i cittadini, «aspettiamo da troppo tempo di cambiare pagina per accettare altri ostacoli. Fino ad oggi siamo stati alla mercè degli spacciatori, questo posto è teatro di risse e ospita ogni sorta di sporcizia. L’apertura della piazza per noi significa una nuova alba». «Non discuto il valore dell’opera d’arte», aggiunge l’architetto e artista Andrea Burroni, «ma è anche vero che una prerogativa intrinseca della street art è proprio la volubilità della sua esistenza. La nostra non è una contestazione ignorante. Abbiamo la consapevolezza che la street art non sia permanente». Oggi c’è, domani non si sa. «Vogliamo vedere quel muro abbattuto», tuona il macellaio. «Buttatelo giù», rincara il tabaccaio. La città potrebbe non essere d’accordo. «La città non abita qui», tagliano corto. «Salvare il muro significa destinarlo a vespasiano e poi», sottolineano, «una copia esatta dell’opera è all’interno del ristorante brasiliano Bon boi, che vadano lì gli estimatori a contemplarla».

L’aria che si respira in piazza è dura, non fa sconti. «A me preme salvaguardare un aspetto culturale della città», spiega invece Colasio, «desidero confrontarmi con i residenti, ma anche con gli artisti. Il murale può essere inserito nella riqualificazione. Ho la bozza di un architetto – da discutere con l’amico Micalizzi – che ne farebbe un elemento di arredo. Potrebbe diventare uno spazio per eventi, concerti, un percorso di rigenerazione urbana, tanto più che proprio quel muro è una traccia connotativa di uno spazio altrimenti “morto”. Inoltre lo stesso muro ha un suo pregio storico. È molto antico. Non escludo che la Soprintendenza possa esserne incuriosita, anche se nel primo passaggio non ha detto nulla. In ogni caso sottolineo che voglio agire nel massimo rispetto del parere di tutti. Con Micalizzi siamo in piena sintonia. Ho sentito anche l’artista: è amareggiato perché è un’opera alla quale è legato. Certo non possiamo “liquidare” la faccenda con l’operazione “gli diamo un altro muro”. Dunque si tratta di trovare un equilibrio tra le legittime aspirazioni degli artisti, della cultura padovana e delle aspettative dei residenti».
 

 

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