Salboro, l’Avis chiude dopo 53 anni: «Noi vittime della burocrazia»

L’associazione è passata da onlus a ente del Terzo Settore. Cecchinato: «Oneri insostenibili». La segretaria: «Così la comunità locale perde un presidio di socialità attivo anche nei comuni limitrofi»

Costanza Francesconi

 

Schiacciato dagli oneri burocratici imposti dalla riforma del Terzo Settore, chiude dopo 53 anni di donazioni l’Avis di Salboro. «L’ennesimo presidio di socialità locale che sparisce dal territorio dopo oltre mezzo secolo di vivace volontariato e attività promozionali portate avanti anche nei comuni limitrofi», commenta Silvana Cecchinato, segretaria uscente.

La novità, sottoscritta non senza rammarico dall’ultimo direttivo in carica, è ufficiale dal 5 marzo. Sciogliere la sezione è stata una deriva presa di necessità virtù.

«La burocrazia ne ha decretato la morte, sfollando una squadra affiatata di volontari», scrivono in una nota la segretaria e il presidente Silvio Pasquato, «Passando obbligatoriamente da associazione onlus ad associazione del Terzo Settore, per noi volontari componenti del direttivo, non è stato più possibile reggere il carico di incombenze burocratiche».

Le prime avvisaglie di instabilità si sono manifestate internamente al 50esimo compleanno della sezione, senza prospettive di ricambio generazionale oltre quel prestigioso giro di boa.

«Stante il nuovo assetto, con le sconfinate responsabilità che ha implicato da un giorno per l’altro, nessuno si dimostrava interessato o disposto a prendere le redini della sezione», racconta Cecchinato, «Abbiamo stretto i denti e rinnovato il direttivo. Ma le buone intenzioni nella pratica non hanno retto e come in altre piccole, attive e vivaci realtà locali non è restato che fare un passo indietro».

La normativa entrata in vigore impone che qualsiasi associazione, che sia composta da centinaia di iscritti seguiti da personale stipendiato con una propria sede o da un gruppetto di volontari con una manciata di iscritti - come era valso dai primi anni Settanta nel caso dell’Avis di Salboro - è costretta ad assolvere gli stessi identici oneri amministrativi e fiscali.

«In un primo momento per redarre il bilancio ci siamo appoggiati alla sede provinciale di Padova, ma la cosa non è più stata sostenibile», spiega Cecchinato. Un pezzo alla volta la struttura fatta da una rete di volontari dai 18 agli oltre sessant’anni, si è sfaldata. I circa ottanta donatori ancora iscritti hanno dovuto chiedere il trasferimento in altre sezioni ancora attive e frequenteranno d’ora in avanti Padova città, Piove di Sacco o Casalserugo. Gli spazi fisici, invece, erano messi a disposizione dalla parrocchia.

Fondata nel 1972 da Dino Pettenazzo, l’Associazione volontari italiani del Sangue di Salboro è arrivata a contare - donatore più, donatore meno - 120 iscritti tutti salborani. Nell’85 il testimone è passato a Luigi Pigna, che ha condotto la onlus «con generosità, entusiasmo ed altruismo fino a 2021»: compiuti 90 anni, è rimasto nel direttivo come presidente emerito.

Il tessuto locale non perde solo uno spazio e un tempo dedicato ai prelievi, evidentemente. «Dopo un tot anni o di donazioni veniva consegnato un attestato», fa sapere la segretaria, «Finita la messa a cui partecipava tutta la comunità, si assisteva insieme alla premiazione. Al termine della funzione venivano chiamati uno ad uno all'altare i premiati e poi si andava tutti a pranzo, vecchi e giovani, sempre offerto dall’Avis».

A sfumare sono le occasioni di incontro tra le persone. I caffè, gli aneddoti e i sorrisi. Quel senso di impegno e appartenenza a qualcosa di più grande, che non è scontato fiorisca tra sconosciuti, ed è un peccato si perda. —

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