«Salvato a Padova ma trascurato a Piove di Sacco»

Un giovinetto di 14 anni ha conosciuto, suo malgrado, il rischio di morire per una sinusite fulminante, dapprima gravemente sottostimata dall’ospedale di Piove di Sacco, poi risolta in extremis, con esemplare dedizione e professionalità da uno staff di medici di eccellenza dell’ospedale di Padova.
Il ragazzo è di origini nordafricane, ma è nato in Italia da genitori naturalizzati ed esempio di perfetta integrazione nel tessuto sociale della Saccisica.
Si parte il 30 marzo con una situazione di febbre a 42 gradi, vomito, nausea, forti dolori alla testa. Il 118 con i dati telefonici stabilisce la non urgenza del caso. Si insiste per l’intervento dell’ambulanza. Dopo mezz’ora arriva l’autolettiga, l’equipaggio a sua volta non ritiene il caso urgente e, dopo le insistenze del padre del ragazzo, decide il trasporto solo dopo aver avvisato i genitori che «i costi saranno addebitati a loro, vista l’apparente inutilità del trasporto». Al pronto soccorso il tutto viene contraddistinto sempre con una sospetta supponenza, stabilendo un codice verde (non urgente e risolvibile in ambulatorio), quindi viene visitato da una pediatra che viceversa dispone il ricovero con una urgente cura a base di flebo e antibiotici nel reparto di Pediatria di Piove di Sacco.
Passa la prima notte sempre con febbre che cala di poco (38-39°) e persistono i forti dolori al capo, la nausea, un malessere diffuso rappresentato dal ragazzo con ripetute richieste al padre che smetta il dolore. Il personale provvede solo al cambio delle flebo ma non a rilevare la temperatura e la pressione e non si nota una particolare attenzione del caso e nei confronti del ragazzo.
Al mattino del 31, nessuno prende la temperatura o la pressione arteriosa, e anzi il ragazzo viene invitato a recarsi a piedi al laboratorio nello stesso reparto, con la flebo attaccata e il supporto spinto a mano.
Viene richiesto al ragazzo «da 1 a 10 quanto male ha?» «9!» risponde, ovviamente non viene creduto e gli viene riproposta la stessa domanda con tono alto e intimidatorio: «Da 1 a 10, quanto male hai?» il ragazzo, pur pervaso dai sintomi da sempre accusati e dai forti dolori alla testa, ma creduto bugiardo, rassegnato risponde: «2»!
Vengono tuttavia disposti, e solo in quel momento, degli accertamenti immediati quali pressione, temperatura, ecc... quindi viene rimandato alla propria stanza a piedi.
Il ragazzo rimane a letto sopraffatto dal dolore: nausea, vomito, forte dolore alla testa, febbre alta… non mangia quasi nulla.
Si arriva al giorno 1 aprile.I medici finalmente decidono di effettuare una ecografia, dalla quale risulta che si tratti di un virus intestinale. Tuttavia, per tutto il giorno rimane invariata la situazione del ragazzo, che lamenta sempre gli stessi sintomi.
Arriviamo al 2 aprile.
Visto il persistere dei dolori del figlio, il padre disperato chiede espressamente che si faccia una Tac. Il medico risponde «Non ha niente… quindi la Tac è superflua. Lo teniamo ancora oggi in reparto e domani preparo la lettera di dimissione».
Arriva il 3 aprile. Alle 12.20 circa, dopo un pasto molto contenuto vista l’inappetenza causata dal mal di testa, il ragazzo si corica a letto sempre coi soliti dolori, è tuttavia lucido e interloquisce col padre. Ad un certo punto però, il ragazzo assume uno sguardo fisso e non risponde più. Un istante dopo si scatena una crisi convulsiva di carattere epilettico con i tipici effetti, tra cui gli occhi sbarrati. Il padre si mette a urlare e chiede l’intervento dei sanitari, da lì le iniziative di emergenza, iniezione di valium per sedare la crisi e un Eeg (elettroencefalogramma). Freneticamente si avviano tutta una serie di accertamenti e iniziative del caso, tra cui una risonanza magnetica con spostamento del ragazzo da un reparto all’altro. I medici decidono anche (finalmente) di effettuare una Tac. Lo stesso medico quindi, stando presumibilmente il referto della Tac, riferisce al padre di aver preso contatti con la Neurochirurgia di Padova, col reparto di Otochirurgia per un trasferimento previsto l’indomani, il 4 di aprile.
Veniamo quindi al 4 aprile. A mezzogiorno si provvede al trasferimento con apposita autolettiga. Il paziente viene accolto in Orl all’ospedale civile di Padova da una equipe completa del Prof. Emanuelli.Dopo aver letto i documenti emessi dal reparto di Pediatria di Piove di Sacco, viene disposta una ulteriore Tac urgente che evidenzia una sinusite. A seguito di ciò, il Prof. Emanuelli, dispone l’intervento operatorio immediato. L’operazione è durata circa 3 ore.
In una prima fase, si è provveduto ad aspirare, dal naso, tutto il materiale purulento presente nel lobo frontale. Alle 21.30 il ragazzo viene trasferito in Terapia intensiva. Il giorno successivo , il 5 di aprile, viene disposta una ulteriore Tac per verificare la situazione post-intervento di aspirazione. Il referto evidenzia che il materiale purulento si è esteso ad alcune zone del cervello. Si è dovuto quindi intervenire invasivamente ed urgentemente, aprendo la scatola cranica per una accurata pulizia delle parti contaminate del cervello.
Per fortuna l’odissea è finita bene, merito non solo della Fede ma pure della professionalità e della dedizione di professionisti capaci e zelanti che, diversamente da altri, hanno riconosciuto la gravità del caso e della condizione del ragazzo, avviando le tempestive e oculate iniziative del caso.
L’intera famiglia sente di essere profondamente grata ai medici di Padova, primo fra tutti il prof. Emanuelli e alla sua equipe di Orl, all’equipe del prof. D’Avella, al chirurgo dr. Denaro, al dr. Ciccarino e alla dr.ssa Rossetto e ai rispettivi team. Un ringraziamento va anche agli staff di Terapia Intensiva e di Chirurgia pediatrica, medici e paramedici, tutti dell’Ospedale civile di Padova.
Una storia incredibile, per fortuna finita bene, ma che evidenzia come molte componenti pregiudiziali possano contribuire a determinare fatti tragici o quanto meno discutibili: pressapochismo, superficialità, discriminazione, razzismo.
È innegabile che il fatto di essere coi tratti somatici diversi, una chiara provenienza da un altro paese, ingenera un altrettanto innegabile pregiudizio, che accompagna sempre i rapporti, le relazioni sociali ed umane, tra un indigeno (italiano) e una persona di un altro continente.
Nel caso concreto, chi ci può dare certezza che il dramma sfiorato, non abbia i connotati di un pregiudizio precostituito, nello svolgimento delle iniziative e delle cose concrete da fare?
. Il padre, Allal Elaich
Comitato lasciateci respirare
Conselve
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