Sciopero all'Amazon di Vigonza, il racconto di un corriere: "Schiavi di un algoritmo, ci controllano le pause"

PADOVA. Schiavi di un algoritmo che accelera il passo giorno dopo giorno. È questa la condizione denunciata dai driver di Amazon che fanno capo al centro di distribuzione di Vigonza. Coinvolti circa 400 autisti, assunti da 5 diverse società titolari di contratti di appalto con la multinazionale statunitense dell’e-commerce che ogni giorno coprono la provincia di Padova ma pure quella di Vicenza e Treviso, consegnando pacchi ad un rimo sempre più vorticoso.
«Nel 2017 mi sono trovato nella condizione di avere al più presto un lavoro» ricorda Giovanni Goldoni, driver per Amazon, «Sono stato assunto con un contratto a termine da precario per le consegne del Prime Day e di Natale. Succede sempre così durante quei giorni: il numero dei driver aumenta per fare fronte ai picchi di lavoro delle feste.
Ho cercato di essere rapido, di lavorare con precisione, senza fare danni al furgone o prendere multe. I miei contratti da precario si sono susseguiti uno dopo l’altro ma io avevo bisogno di lavorare e ho continuato a fare il mio lavoro al meglio. Il ritmo aumentava di giorno in giorno, ma era ancora sostenibile. Dopo circa 2 anni, nel 2019, sono stato assunto a tempo indeterminato, in part time verticale. Lavoro 3 giorni a settimana, 9 ore più mezzora di pausa e porto a casa, dai 900 ai 1000 euro al mese, senza contare la tredicesima e la quattordicesima che viene spalmata sulle 12 mensilità».
Ma il lavoro di Giovanni anno dopo anno si è fatto più difficile: «All’inizio, nel 2017, avevamo tra le 60 e le 70 fermate al giorno» spiega il driver «ora la media è tra le 120 le 140 al giorno. In pratica in 4 anni o poco meno i turni di lavoro sono duplicati.
Siamo schiavi di un algoritmo che non solo ci indica tutto il percorso da seguire, ma controlla i tempi delle pause, valuta le medie e determina i carichi di lavoro.
L’incremento da alcuni anni è continuo: in effetti i capi tendono a spingere sempre un po’ di più sull’acceleratore, facendo maggiori pressioni sui precari e mettendoli in competizione l’uno con l’altro per fare il giro migliore, per consegnare più merce, per ridurre i tempi di consegna e così via. In pratica l’algoritmo vede che ogni giorno c’è un po’ di margine di miglioramento e impone un ritmo quasi impercettibilmente più duro e più frenetico».
I lavoratori di Amazon hanno letto con molta attenzione la storia di Jerry Lazzarin che consegna 170 pacchi a giorno ed è stato premiato dalla multinazionale. Per molti di loro si tratta di una vicenda emblematica di una spinta costante all’accelerazione del servizio, con poco o nessun riguardo all’aspetto umano del lavoro.
«Di fatto ci troviamo costretti a correre sempre di più mettendo anche a rischio la nostra sicurezza» continua Giovanni. «È normale che se fai 9 ore al giorno in furgone tutti i giorni ti possa capitare un piccolo incidente. Ma è meno normale che sia tu a dovere pagare i danni.
Abbiamo paghe decisamente migliorabili, ritmi sono sempre più insostenibili e registriamo una scarsa attenzione alle esigenze di sicurezza sanitaria che il Covid impone.
Durante il lockdown, quando i bar erano chiusi, noi driver non sapevamo dove poter mangiare un boccone, dove andare al bagno. Sembra una banalità, ma posso assicurare che non lo è affatto quando situazioni di disagio come queste si ripetono ogni giorno per mesi. Insomma credo che aderirò allo sciopero di lunedì non tanto perché non mi piaccia il mio lavoro o perché ce l’ho con la mia azienda, ma per avere condizioni migliori, maggiore sicu
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