Se i gioielli sconfinano

Al Piano Nobile del Pedrocchi i maestri di casa e del nord
Di Virginia Baradel

PADOVA. Una fortunata collezione di gioielli sperimentali degli anni novanta, concepita da Marijke Vallanzasca, titolava “Chi ha paura… del gioiello contemporaneo?” A quel tempo in verità, a trasalire erano in molti. La domanda è stata rilanciata con la mostra Sconfinamenti/Digressions (sino al 15 dicembre, piano nobile caffé Pedrocchi) che raccoglie gioielli, oggetti e sculture di 21 artisti internazionali, orafi e non, visto che il cimento con la piccola dimensione ornamentale ha contagiato anche Alberto Biasi e Elio Armano.

La sfida della Vallanzasca è iniziata oltre trent’anni fa (con Ennio Chiggio che soffiava sul fuoco): sconfinare dal perimetro della “scuola orafa padovana” che poteva considerarsi una vera avanguardia del genere. e trovare soprattutto nel Nord Europa artisti di un design progettato per il corpo che andasse oltre ogni aspettativa: di misura, di materiali, di convenienza. Dopo trent’anni il paniere è assai ghiotto: ci sono anelli che decollano dal dito come ordigni spaziali, collane che danzano sul decolté come Loie Fuller con le ali posticce, spille che avanzano sul busto come insetti del Pliocene.

Il gioco è l’azzardo coniato con perizia orafa, tanto che la nuova cifra della preziosità è proprio l’ardimento creativo. Di questo passo (si parla di 150 artisti e 50 esposizioni realizzate negli anni) Marijke Vallanzasca ne ha mostrate di preziose diavolerie destinate al piacere della mente oltre che del corpo, che rimane pur sempre la galleria dove mostrare-indossare quello che, con felice ostinazione, si continua a chiamare gioiello.

La scuola orafa padovana fa bella mostra di sé con “vecchie” glorie come Paolo Babetto e Graziano Visintin e il più giovane Stefano Marchetti, ognuno a modo suo maestro nell’abbracciare e poi tradire la geometria di partenza. Gloria italiana è il veterano Bruno Martinazzi che muovendosi leggero tra pop art e surrealismo crea piccoli monumenti alla seduzione. Sorprendente è l’esuberanza inventiva e l’ingegno costruttivo degli olandesi. I capiscuola sono stati una coppia: Gijs Bakker e Emmy van Leersum, davvero rivoluzionari, autori di gioielli che sin dagli anni settanta erano dei soprassalti per il senso comune, come un colpo di fucile in un deposito di cartucce (facile gioco: un anello di Bakker s’intitola Shot). Olandese è anche Marijke De Goey che, montando aeree geometrie, pare unire a mezz’aria Klee e Melotti. Tedeschi di Germania sono Otto Künzli e Gerd Rothmann. Il primo chiama Ufo una spilla-bandiera americana di ferro arrugginito a brandelli che include, concettualmente, anche lo sventolamento: un inno fiero e acuto preso in contropiede dal non sense. Il secondo lavora sull’impronta in negativo, sull’orma indiziaria da inseguire oltre l’apparenza.

Tedeschi d’Austria sono Fritz Maierhofer che muove lamiere di forme colorate e Peter Skubic che oscilla dalla severità geometrica stile Bauhaus ma squinternata nell’etere, all’organica e minerale compattezza di un’antica giada cinese. Tutti esteticamente intriganti.

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