Se ne va la Szymborska la poetessa dello stupore

di Maurizia Rossella La poetessa polacca Wislawa Szymborska, vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1996, è morta serenamente nel sonno, nella sua casa di Cracovia, all’età di 88 anni,...

di Maurizia Rossella

La poetessa polacca Wislawa Szymborska, vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1996, è morta serenamente nel sonno, nella sua casa di Cracovia, all’età di 88 anni, mercoledì notte. Le foto e i video la ritraggono mentre fuma, si dice che fino all’ultimo abbia fumato un pacchetto di sigarette al giorno. Le istantanee la mostrano sorridente con cappellini allegri e l’espressione scanzonata in ogni occasione, non solo mentre ritirava il premio a Stoccolma. Perché la poetessa tradotta in molti paesi e amata dai giovani era attratta dalle piccole cose e si entusiasmava. Ogni elemento dell’universo, del cosmo, la affascinava e questo suo stupore di fronte alla complessità del mondo traspare dalle sue poesie. Il Mozart della poesia, è stata definita, anche se la sua produzione risulta relativamente ridotta, dato che nell’arco di 50 anni ha pubblicato solo una dozzina di titoli, per un totale di circa 250 poesie. La gioia di scrivere (Adelphi) raccoglie tutte le poesie, tradotte in italiano da Pietro Marchesani, caratterizzate da ironia e senso dell’umorismo, calore umano, attenzione ai valori morali: «rappresenta uno sguardo poetico di una purezza e di una forza inconsuete» recitava la motivazione del Nobel.

Nata nel 1923 vicino a Poznan, trasferita poi a Cracovia, a diciott’anni lavora come impiegata alle ferrovie, dal ’41 al ’43, e questo le evita la deportazione nei campi nazisti. Szymborska ha vissuto la seconda guerra mondiale e ha assistito a eventi epocali. A vent’anni comincia a scrivere racconti e qualche poesia, finita la guerra si iscrive all’università ma l’abbandona quasi subito perché si stufa. «La sociologia diventò mortalmente noiosa, si doveva spiegare tutto con il marxismo. Ho lasciato l’università perché dovevo guadagnarmi da vivere». A 25 anni diviene segretaria di redazione di una rivista di Cracovia, il suo lavoro si svolge fra i libri, nelle redazioni di giornali, riviste e case editrici, dove incontra redattori e illustratori, poeti e scrittori. E i suoi due mariti. Negli anni Cinquanta, come molte altre persone anche la giovane poco più che trentenne diede la sua fervente adesione all’ideologia comunista: si iscrisse al Partito nel 1952 e ne fece parte fino al 1966, quando ne uscì restituendo la tessera in segno di solidarietà verso alcuni intellettuali che erano stati espulsi dall’università di Varsavia. Anche se l’uscita dal partito ebbe come conseguenza la perdita del posto di lavoro, questo fu il momento della liberazione, che lei definì come un lieto fine, poiché non doveva più star seduta alla scrivania a leggere testi per lo più brutti, ma conservò una rubrica di recensioni settimanali, le famose “Letture facoltative” in cui si occupava di qualsiasi argomento giudicasse importante o le interessasse: turismo, botanica, economia domestica, cosmesi, ornitologia, arte, storia, letteratura classica e poliziesca, dizionari, musica.

Di quel periodo sopravvivono solo pochissime poesie dette della “Raccolta non pubblicata”. Spirito libero e pensiero indipendente, l’autrice passa dall’io, che delinea una precisa condizione individuale, al noi. A lei piacciono i plurali, e vi ricorre spesso per parlare di esistenze altrui: il destino di uno ricorda il destino di molti. In questo modo lei rende dignità e senso all’esistenza degli altri, tramite la sua poesia, con gli altri condivide esperienze e sentimenti, di cui mostra un’ampia gamma che spazia dall’amore all’odio, gioia, tristezza, inquietudine, speranza, soddisfazione, paura. Fra l’autrice e il lettore si crea un’empatia che si estende al genere umano e abbraccia tutto il mondo. Non solo gli esseri umani, ma anche animali e vegetali sono importanti, anche gli oggetti, anche un granello di sabbia, anche i fenomeni naturali ai suoi occhi acquistano rilievo.

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